Cellule staminali, ovvero primitive, non formate, in trasformazione. Attorno al loro utilizzo nella medicina moderna e negli studi genetici ruota un dibattito di natura prettamente etica, che divide la popolazione, degli addetti ai lavori e non. Il loro prelievo, infatti, comporta la distruzione della blastula, uno dei primi stadi dell'esistenza biologica, ed è su questo che si fonda il dilemma tra chi vorrebbe proteggere la vita in tutte le sue forme, seppur basilari, e considera dunque un'uccisione a tutti gli effetti il prelievo dalla blastula, e chi invece propende per il loro utilizzo, non considerando un bambino, e dunque una vita, uno stadio tanto rudimentale dell'esistenza, essendo la blastula un ovulo formato che ancora non si è impiantato nell'utero. Lontano da questi lidi, c'è però un altro studio delle cellule staminali, prelevabili ed analizzabili a partire da una comune amniocentesi, che non comporta quindi alcun tipo di dilemma etico. Su questo in particolare, e per oltre tre anni, si è soffermata l'equipe di ricercatori dell'università "G.D'Annunzio" di Chieti-Pescara, guidati dalla Dott.ssa Barbara Ghinassi che, in collaborazione con i colleghi della Columbia University di New York, hanno ottenuto sorprendenti risultati nella ricerca e nello studio del differenziamento cardiaco delle cellule staminali presenti nei liquidi amniotici. I risultati di questo studio, sostenuto da un progetto del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Scientific Reports del gruppo Nature e potrebbero avere in futuro importanti risvolti nella pratica clinica legata ad alcune patologie cardiache genetiche.
Dott.ssa Ghinassi, in cosa consiste questa rivoluzionaria ricerca?
«Grazie al lavoro di tre anni possiamo dire di essere riusciti ad ottenere cellule cardiache da cellule staminali presenti nei liquidi amniotici prelevati dalle comuni amniocentesi. Un lavoro condotto presso il laboratorio di Anatomia e Biologia Cellulare dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara, che ho personalmente coordinato, naturalmente coadiuvata dal supporto di altri ricercatori, la professoressa Di Baldassarre, il professor Stuppìa e la professoressa Mariggiò, oltre che da una collaborazione con studiosi della Columbia University di New York. Abbiamo cercato di comprendere se le cellule staminali contenute nel liquido amniotico potessero essere trasformate in cellule cardiache mature. Premesso che le cellule staminali amniotiche presentano caratteristiche biologiche molto simili a quelle staminali embrionali, esse non presentano tuttavia tutta quella serie di controindicazioni di carattere etico legate alla distruzione dell'embrione. Già altri autori avevano evidenziato il potenziale cardiomiogenico delle cellule staminali amniotiche: tuttavia non si era ancora riusciti a sviluppare tale potenzialità, poiché i dati ottenuti erano contrastanti, magari erano state utilizzate colture comprendenti cellule animali, di topo o di ratto, potenzialmente non utilizzabili in una pratica clinica futura, oppure l’efficienza del differenziamento era piuttosto bassa e le cellule cardiache ottenute erano molto immature. Studiando diversi campioni di liquido amniotico, siamo riusciti a dimostrare che solo quelli ricchi in particolari cellule staminali (cellule che esprimono marker di pluri o multipotenza) sono in grado di dare origine a cellule cardiache mature. Tali campioni sono stati identificati come “Cardiopoietic Amniotic Fluid”»
Una volta isolati e determinati i tipi di cellule amniotiche più idonei, come avete operato?
«Il passo successivo in laboratorio ci ha visti concentrarci sulla trasformazione di queste staminali amniotiche in cellule cardiache mature. Abbiamo ricercato un sistema che fosse al contempo efficace, ma che non prevedesse l'aggiunta di in coltura di altre cellule e/o sostanze di origine animale, fattore che ne comprometterebbe l’utilizzo nella pratica clinica.»
Quali potrebbero essere i risvolti nella pratica clinica di questa importante ricerca? Quali patologie cardiache potranno essere debellate?
«I risultati di questa ricerca, potrebbero avere ricadute applicative importantissime sia per la creazione di modelli di studio per le cardiomiopatie genetiche che per la realizzazione di test farmacologici, ma soprattutto apre le porte alla rigenerazione cardiaca utilizzando cellule staminali sicure (le cellule amniotiche non sono tumorigeniche) e prive di limitazioni di carattere etico, in quanto ottenute da materiale “avanzo” delle amniocentesi a cui si sottopongono le future mamme a fini diagnostici. Pensiamo per esempio alla possibilità di rigenerare un cuore infartuato “ripopolandolo” con nuovi elementi contrattili generati in laboratorio. L’utilizzo delle cellule staminali da liquido amniotico apre quindi una nuova frontiera della medicina in campo cardiovascolare favorendo il passaggio da terapie di tipo farmacologico a quelle di tipo cellulare. Ma, come dicevo, queste cellule potrebbero diventare anche un ottimo modello per lo studio delle cardiopatie genetiche, quali ad esempio quelle che si presentano nella sindrome di Down: le cellule staminali presenti nel liquido amniotico di bimbi affetti da patologie genetiche potrebbero rappresentare sistemi modello per la comprensione dei meccanismi patogenetici di queste malattie.»
Mantenendo sempre uno sguardo al futuro, lo studio delle staminali e il loro utilizzo nella pratica clinica è il traguardo da raggiungere per consentire all'intera disciplina medica un notevole salto in avanti, con ovvie conseguenze benefiche per la collettività?
«Assolutamente sì. Attualmente il campo di studio delle staminali è uno degli àmbiti più studiati e molte agenzie internazionali stanno puntando su questo settore. Trovare la sorgente di cellule staminali che siano facilmente utilizzabili e che siano scevre da criticità di natura etica e soprattutto tumorigenica, poiché le cellule staminali riprogrammate, oltre allo specifico beneficio, una volta trapiantate possono portare all'insorgere di tumori, diventa fondamentale. È la base per la cosiddetta medicina rigenerativa, e per tutta una serie di pratiche che consentano alla medicina di base di entrare nella pratica clinica, tramite la sostituzione di cellule morte o morenti con cellule rigenerate, nell'ottica di migliorare sempre più la qualità della vita anche per persone affette da patologie che fino a ieri ne inficiavano pesantemente lo stile di vita.»
Una domanda d'obbligo, visto il tema di strettissima attualità, perché ci troviamo di fronte a questa stigmatizzazione dei vaccini da parte dell'opinione pubblica?
«Personalmente sono mamma di due bimbi, entrambi vaccinati e per i vaccini obbligatori e per quelli facoltativi. Chi è del settore vaccina i propri figli, e credo che questo la dica già lunga sulla questione. Indubbiamente crediamo nel valore del vaccino e temo che l'ignoranza di base che trascina e che si tramanda di bocca in bocca, ingigantisca bugie che alimentano la disinformazione. Noi come comunità scientifica speriamo che la direzione intrapresa nuovamente dal Ministero della Salute, circa l'obbligatorietà dei vaccini, rimanga tale e possa spegnere una polemica dannosa per la salute di tutti.»
Quale può essere una politica efficace per debellare queste dicerie e riportare la questione sui giusti binari?
«Sicuramente l'informazione è la chiave per superare questa situazione. Un maggior rapporto coi medici di base e lo sforzo di tornare a fidarci di figure competenti quali sono gli addetti ai lavori, senza ascoltare chi invece non dovrebbe mettere bocca in materia, come è prassi in tutte le altre questioni.»
di Alessandro Leproux
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