Maria Stella Giorladino, amministratrice di Artemisia Lab, in un’intervista a Spraynews, tenutasi a margine della diretta streaming organizzata dalla sua rete sulle tecniche di prevenzione per il tumore alla mammella, sottolinea non solo l’importanza di una tempestività nella diagnosi, ma in modo particolare si sofferma su come la medicina di prossimità può di fatto cambiare il futuro della sanità in Italia.
A cosa servono eventi come quello odierno?
«Soprattutto per quanto riguarda l’informazione scientifica in merito alle patologie tumorali, fondamentale è anticiparle. In tal senso, la dottoressa Rossella Occhiato, nell’iniziativa odierna, ha illustrato i sistemi e le soluzioni di prevenzione primaria e secondaria applicabili per la diagnosi precoce, rispondendo alle domande di medici di base e specialisti. Non a caso stiamo parlando di un corso di formazione e qualificazione professionale con crediti Ecm».
I social media e i nuovi strumenti di comunicazione quanto possono aiutare a diffondere questi messaggi?
«La comunicazione è fondamentale. Facebook, Twitter, Instagram sono il linguaggio del futuro. Abbiamo deciso di trasmettere i seminari sul nostro canale YouTube, in modo che chi è interessato può accedere da ogni parte del Paese e non solo».
Quante donne colpisce il tumore alla mammella?
«Ogni anno in Italia vengono diagnosticati 55mila nuovi casi. Colpisce una donna ogni 8 nell’arco della vita. Stiamo parlando della più frequente neoplasia presente nel genere femminile in tutte le fasce di età e perlopiù di un qualcosa la cui incidenza è in continuo aumento».
Oggi si cura?
«Grazie ai continui progressi della medicina e agli screening per la diagnosi precoce vi sono aspettative e prospettive di guarigione molto più elevate».
Quali sono le tecniche di prevenzione più utilizzate?
«Innovativi standard di diagnosi hanno permesso di fare importanti passi in avanti. Le visite specialistiche e strumentali sono la migliore arma per combattere questo tipo di neoplasia. Per tale ragione, ritengo fondamentale il discorso relativo alla medicina di prossimità».
Quali sono i problemi in Italia a riguardo?
«Pur vantando il nostro Paese uno dei servizi sanitari pubblici migliori al mondo, non possiamo non riconoscere le difficoltà in cui lo stesso servizio versa, soprattutto se pensiamo al sovraffollamento nei pronto soccorso, alle lunghissime liste di attesa per le visite specialistiche e alla ridotta disponibilità di posti letto per il ricovero. Con l’avvento del Covid, la situazione è profondamente peggiorata, poiché hanno prevalso visioni e misure emergenziali. A rendere il quadro ancora più critico la tendenza diffusa a rinunciare alla prevenzione e ai controlli sanitari, manifestata anche da parte di individui affetti da malattie severe o croniche».
Tale fenomeno cosa ha comportato?
«Alla fine del 2020, sono saltate circa 51 milioni di prestazioni sanitarie, allungando a dismisura i tempi di attesa, col rischio di aggravamento delle patologie non diagnosticate tempestivamente e determinando costi aggiuntivi sul sistema. Secondo recenti stime, inoltre, attualmente circa il 40 % degli italiani soffre di una patologia cronica».
Quale, a suo parere, il primo passo da compiere?
«Cambiare il modo di erogare il servizio e andare incontro ai cittadini, individuando le loro criticità, ridisegnando l’attuale modello di fruizione del servizio sanitario e istituendo un sistema integrato di medicina di prossimità. In tale solco s’iscrive la recente intesa tra Stato e Regioni sulle cure domiciliari. Il Ministro della salute, il 16 agosto, ha rafforzato il cammino in tale direzione, dichiarando che col PNRR si investiranno 4 miliardi di euro per portare l’assistenza pubblica e le cure più appropriate in casa dei pazienti. Obiettivo principale è portare le soluzioni diagnostiche e terapeutiche presso il cittadino e non viceversa, garantendo servizi sanitari a domicilio o in strutture di prossimità, informando, rassicurando ed accudendo il paziente nel suo ambito di vita e di lavoro, intervenendo tempestivamente e provvedendo a indirizzare ai ricoveri o ai pronto soccorso solo i casi che davvero necessitano dell’ospedalizzazione, contribuendo così allo snellimento delle liste di attesa. Con questo sistema organizzativo si possono inoltre contrastare i rischi di diagnosi e prognosi tardive, si possono trattare le patologie croniche con adeguato monitoraggio nel tempo, si possono evitare spostamenti inutili, occasioni di file e assembramenti e giornate di lavoro massacranti per gli operatori».
Quant’è importante la collaborazione tra pubblico e privato?
«E’ fondamentale la disponibilità all’ascolto e al confronto aperto. E’ necessario passare all’atto pratico accettando le sfide, impegnandosi al problem solving e misurando i risultati, condividendo proposte concrete e cooperando affinché queste si trasformino celermente in buone pratiche, al fine di ricreare un nuovo Sistema Sanitario Integrato e di Prossimità, fondato su modelli assistenziali innovativi ed efficienti, che vedano l’istituzione di una Rete di Operatori in coesione finalizzata a ridistribuire in modo ottimale il carico assistenziale, a limitare sprechi e inefficienze, a migliorare il rapporto prezzo-qualità dei servizi sanitari, a ridurre le differenze tra i territori ed a garantire concretamente il diritto alla salute per ogni cittadino».
Su cosa potrebbe aprirsi questo dialogo?
«Esternalizzando le attività ambulatoriali di 1° e 2° livello ad aziende sanitarie private, aderendo al Fascicolo Sanitario Elettronico Unico come esempio di infrastruttura integrata abilitante e applicando sistemi di Telemedicina con Cabine di Regia interconnesse ed allineate».
Tutto ciò cosa comporta?
«Un notevole abbattimento delle liste di attesa. La cooperazione tra pubblico e privato, inoltre, può favorire un completo ciclo diagnostico a prezzi concordati. Si potrebbero ipotizzare pacchetti diagnostici per il tumore della tiroide, della mammella, dello stomaco, prostatico, fornendo il completo ciclo diagnostico di qualità comprensivo di ecografia, mammografia, ago aspirato, biopsia ed esame citologico e istologico con diagnosi certa in 12/24 ore».
La recente pandemia ha messo a dura prova la prevenzione oncologica. Come recuperare il tempo perso?
«L’emergenza, purtroppo, ha portato alla trasformazione di tanti reparti ordinari in vere e proprie trincee per fermare il Covid. Si è trattata di una scelta obbligatoria, ma questo non è un certamente un alibi per non recuperare e intensificare un qualcosa che non può essere più sottovalutato o ignorato dalle istituzioni. Secondo le recenti stime, il Coronavirus ha portato alla cancellazione di circa 4 milioni di inviti per le periodiche campagne di prevenzione, nonché a ritardi importantissimi per quanto riguarda gli screening».
Quale il contributo della sua associazione a riguardo?
«Artemisia Lab e Artemisia Onlus hanno creato per le donne il centro Seno-Labuna Unità Senologica Polispecialistica d’eccellenza, efficiente, completa e facilmente accessibile. Stiamo parlando in un team di specialisti, altamente qualificato a cui si possono rivolgere tutte le persone che hanno bisogno. In questo modo non solo si avvia un percorso clinico-assistenziale personalizzato, che tiene conto delle esigenze psico-fisiche del paziente, ma soprattutto si consente un monitoraggio costante che rende migliore la vita, in tutte le sue fasi, a chi purtroppo è costretto ad affrontare un problema, tra l’altro con un metodo innovativo, sempre più empatico e soprattutto solidale».
Di Edoardo Sirignano
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