Gli amici spagnoli non hanno fatto in tempo a posare i calici innalzati dopo lo strombazzato sorpasso economico ai nostri danni, che sui loro entusiastici (alquanto irritanti) brindisi è piombata una crisi politica, che potrebbe trascinarli alle terze elezioni anticipate in due anni. In Italia è appena faticosamente nato il governo giallo-verde dell' esordiente professor Conte, in terra iberica è morto in un battito d'ali quello del popolare Rajoy, da sette anni al timone, grigio ma tenace ricostruttore dell' economia dopo una terapia 'lacrime e sangue' dettata da Bruxelles e, dopo un bel penare, andata in porto con successo. Una dipartita annunciata, la sua. Sull' onda del terremoto provocato dalla tangentopoli spagnola (il devastante, annoso, "caso Gurtel"), uno scandalo che ha coinvolto pesantemente il 'partido popular', condanna senza attenuanti delle basi corruttive del suo sistema di potere in alcune delle aree strategiche del paese, a partire da Madrid e Valencia. Una dipartita, però, che non sarebbe avvenuta senza l'inesorabile automatismo dell' istituto della "sfiducia costruttiva", unicità della nuova Costituzione della monarchia di Spagna (1978), meccanismo scattato per la prima volta in queste ore nell' arco di un quarantennio. Il premier va sotto in Parlamento. Il leader dell' opposizione che ha presentato la vittoriosa mozione viene 'incoronato' al suo posto. Previa - quasi immediata - benedizione (dovuta) di re Felipe VI e successiva formazione della squadra di ministri. Via - dopo aver rifiutato di dimettersi prima - un veterano di mille battaglie, ex-vice di Jose Maria Aznar nel partito, l' apprezzato ma indebolito (anche, naturalmente, dall' interminabile aspra crisi catalana) popolar-conservatore Mariano Rajoy, 63 anni, non un grande carisma, statista amico di Angela Merkel, ben visto dalle cancellerie europee.
Dentro il giovane 'mister X' Pedro Sanchez "el guapo" ("il bello"), 46enne, docente di Economia, capo niente affatto indiscusso dei socialisti, risorto dopo una travagliata fase di oscuramento che sembrava potesse essergli fatale. Noi italiani, tristemente abituati ai voltapagina, lo chiameremmo (chiaro e tondo) "ribaltone". Una sinistra, sonoramente sconfitta anche lì, che trova la sua resurrezione (molto probabilmente effimera) grazie a quello che è più un artificio parlamentare che la costruzione di un progetto politico. Visto che il pollice verso nei confronti di Rajoy ha ricevuto i consensi di una maggioranza non troppo larga (180 sì, 169 no), ma soprattutto quanto mai eterogenea. E 'scodellata' - nei suoi numeri definitivi - giusto alla vigilia del responso. Con i socialisti di Sanchez e il drappello di "Izquierda Unida" si e' schierata la sinistra movimentista, anti-europeista e 'no global' (qualche vaga somiglianza con i grillini) di "Podemos" - numero uno l' ex-rampante, alquanto calante, Pablo Iglesias - assieme ai secessionisti catalani e - determinanti, scelta 'last minute' - ai nazionalisti baschi e valenciani. Un' accozzaglia di ideologie e programmi, unita solo dal desiderio di rimescolare le carte e sferrare un calcione a Rajoy, che ha parlato sprezzantemente di "armata Frankestein". Mentre i "Ciudadanos", i centristi alla Macron di Albert Rivera, ultimi nati nel panorama politico iberico - in tumultuosa crescita nei sondaggi - pur non sposando la censura, si sono sfilati dal sostegno al governo del Pp e chiedono ad alta voce le elezioni anticipate, certi di diventare determinanti. Nei prossimi giorni il tentativo di Sanchez, piu' rituale che di prospettiva. Un governo minoritario, composto soltanto da ministri socialisti, dopo il 'niet' di "Podemos" al neo-premier. E con una prevedibile resa dei conti con i nazionalisti catalani e baschi, cui il socialista che si sente erede di Zapatero ha promesso tanto, troppo, pur di incassare la sua 'vittoria di Pirro'. Le urne sembrano vicine.
Giovanni Masotti
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