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Tavaroli: «Facciamo presto, giovani vocati al digitale non possono diventare tutti influencer»



Giuliano Tavaroli, consulente per la gestione dei rischi e la sicurezza, già responsabile della sicurezza di Pirelli e Telecom Italia, in un’intervista a Spraynews, esorta il Governo a sfruttare le opportunità derivanti dal Pnrr per far diventare giovani, vocati per natura al digitale, progettatori, ingegneri, tecnici ed esperti in sicurezza informatica e non solo influencer come oggi accade. L’esperto di intelligence sottolinea pure i rischi legati ad avere una sola password per tutti i dati digitali di un individuo, come già rimarcato qualche giorno fa da Antonio Palma, presidente dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, su queste colonne.


Quali i nuovi scenari per quanto riguarda l’intelligence?


«La domanda generale è se la tecnologia, l’intelligenza artificiale, come si domandava anche l’Economist, renderà obsoleto l’intelligence tradizionale e quindi l’uomo perderà di valore. E’ chiaro che c’è una grande competizione sulla conoscenza tra gli Stati e chi sono i monopolisti dell’informazione digitale. Estremizzando, succederà che gli Stati dovranno rivolgersi a queste grandi piattaforme per avere le informazioni strategiche, che a loro servono».


Quali sono, invece, le minacce, soprattutto per chi possiede un’azienda?


«Per un’azienda, in se per sé, nessuna. Esiste, però, uno scenario sottovalutato. Stiamo accettando, implementando, inserendo nei processi aziendali processi automatizzati basati sull’intelligenza artificiale. Li riteniamo i nuovi oracoli. I big data e gli analitics sono il nuovo a cui tutti si devono rivolgere per prendere le migliori decisioni. Pochi o nessuno hanno alzato la mano per dire attenzione la tecnologia digitale può avere e avrà sicuramente problemi di sicurezza. Più le scelte che prenderemo saranno delegate alle macchine, più queste ultime potenzialmente potranno essere una fonte di attacco per modificare e influenzare le nostre decisioni».


Le risorse del Pnrr, in tal senso, possono rappresentare un’opportunità?


«Dovrebbero essere, ma non ci sono indicate le opportunità principali per veicolare fondi che siano diretti intanto alla ricerca scientifica su tutte le tecnologie dell’intelligenza artificiale, nonché allo sviluppo di competenze a sovranità digitale nazionale come chiede l’Europa e in particolare finanziare tutte le nuove start up, specialmente giovanili, che nel campo vogliono cimentarsi, senza dimenticarsi della scuola. Siamo il Paese che ha il più basso numero di laureati del continente. Solo il 21 per cento».


Fondamentale, quindi, è la formazione. In Italia come stiamo messi rispetto al resto d’Europa?


«Malissimo. Siamo i peggiori solo dietro a Bulgaria e Romania, per abbandono scolastico, soprattutto per quanto riguarda la formazione professionale. La vera emergenza del Paese quando si parla di digitale è la scuola, sia secondaria che universitaria. Pochissimi scelgono le facoltà scientifiche. E’ vero che l’umanismo serve anche per gestire l’intelligenza artificiale,

ma abbiamo bisogno che i giovani scelgano sempre di più anche altri tipi di carriere».


I ragazzi hanno compreso i vantaggi nello sviluppare determinate competenze, soprattutto per quanto concerne la sicurezza informatica?


«Non si può generalizzare. Diciamo che i giovani sono naturalmente vocati come nomadi digitale al mondo digitale. Sono suoi utilizzatori. Dobbiamo insegnare loro, quindi, che possono essere ingegneri del futuro digitale, coloro che hanno la possibilità di migliorare i difetti di questo universo in cui li abbiamo proiettati. Non influencer soltanto, ma progettatori, ingegneri, tecnici ed esperti in sicurezza».


In cosa dovrebbero migliorare le Università italiane?


«Nel non abbandonare la grande tradizione italiana della cultura universitaria, ma trovare il sistema di esporre i giovani a progetti sul campo, nelle aziende e sin dal primo giorno a far loro sperimentare la tecnologia con corsi meno teorici. Proprio per cultura le nuove generazioni sono sempre meno speculative e più utilizzatrici pratiche. Dobbiamo dar loro, quindi, sin dall’inizio del percorso scolastico, la sensazione della praticità della tecnologia. Dovremmo insegnare programmazione già dalle scuole elementari perché stiamo parlando di un linguaggio, come la musica e l’inglese, che va appreso il prima possibile».


L’esecutivo Draghi sta ponendo la giusta attenzione a tali sfide?


«Ha chiare le sfide e questa è certamente una grande novità. Il mio punto di vista, però, è il seguente: sarà il Paese insieme capace di risponderne, cogliendo le opportunità che abbiamo di fronte? La risposta dovremmo chiederla forse a qualche applicazione di intelligenza artificiale perché è molto complessa».


Il direttore dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato Palma, in un’intervista a Spraynews, ha dichiarato che con una sola password tra qualche mese avremo l’intera identità digitale di un individuo. Lo ritiene soltanto un aspetto positivo?


«Dipende da come sarà fatta la password. Preferirei innanzitutto modelli più strong, a doppia autenticazione e magari con una delle due a biometria e quindi riconoscimento facciale. Una solo password lunga e particolarmente strong, diciamo che non mi farebbe dormire sogni tranquilli».


Di Edoardo Sirignano

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