Antonio G. D'Errico è uno scrittore prolifico, dalla lunga carriera ricca di riconoscimenti: ha avuto persino una nomination per il Nobel, ed è stato il biografo di Marco Pannella. Ha appena pubblicato, vincendo subito il premio Cygnus Areus, un nuovo libro, sul tema della malagiustizia, L'uso ingiusto della Giustizia: storie di vittime e persecutori (Libeccio Edizioni), con prefazione di Rita Bernardini, presidente di Nessuno tocchi Caino tra i leader storici del Partito Radicale. Ne abbiamo parlato con lui.
Il tuo nuovo libro parla di casi di malagiustizia: come è nato il progetto?
Il libro nasce dall'incontro con persone che hanno subito attacchi spropositati da parte di un giudice che li ha portati a processo partendo da presupposti che la giustizia a mio parere non può permettersi, cioè basandosi su lettere anonime e simili cose non verificabili, così che quelle persone sono state colte veramente di sorpresa e hanno subito una grossa delusione e un senso di fallimento rispetto alla loro stessa vita. Sono stato così colpito da queste ingiustizie che ho voluto scrivere le loro storie in un libro.
Una di queste storie, tra l'altro, è quella di tuo fratello Gerardo, vero?
Non lo stavo dicendo per pudore, ma sì. Io ho incontrato le altre persone dopo aver riflettuto su quello che è successo a mio fratello. Lui è entrato in una depressione incredibile che gli ha fatto perdere anche il posto di lavoro per questa vicenda che racconto nel libro. Lui era il comandante del carcere di Fermo e ha dovuto lasciare il lavoro perché non ce la faceva più. A me questa cosa ha ferito moltissimo. Io insieme a lui da tempo portavo in carcere la poesia, il teatro, girando in molte carceri italiane. Finché è stato raggiunto da un avviso di garanzia, partito da lettere anonime. Ma le lettere anonime non sono prove, non dovrebbero essere prese nemmeno in considerazione! Divertente che le questure li chiamino "esposti anonimi": ma come fa a essere esposta una cosa anonima? Così ho visto mio fratello piano piano andare giù in una deriva depressiva, fino a che ho detto basta, che bisognava reagire. Il libro è stato anche un modo per dirgli che noi grazie all'intelligenza e al pensiero ci potevamo elevare di nuovo. Anche perché le cose di cui era accusato erano false, e pure stupide, create da qualcuno per interesse a danneggiarlo. Un interesse che partiva dall'interno del carcere stesso, perché qualcuno probabilmente voleva il suo posto di comandante. Io all'inizio quindi volevo fare un libro solo sulla sua storia, ma lui mi ha fatto conoscere altre persone che mi hanno colpito allo stesso modo: un colonnello dei carabinieri, un ristoratore, persone perseguitate ingiustamente perché non hanno voluto prestarsi a certe situazioni. Le loro sono storie deprimenti ma utili per tutti noi, perché può veramente capitare a tutti che uno si inventi qualcosa su di te facendo scattare la giustizia, specie quando è una cattiva giustizia, cioè quando in una procura c'è qualcuno che esercita male un potere esagerato, sapendo tra l'altro che se sbaglia non sarà chiamato a risponderne. Anche per questo serve una riforma della giustizia.
A tal proposito, come commenti il passaggio di cinque referendum sulla giustizia su sei, escluso proprio quello sul punto a cui ti riferivi della responsabilità civile dei magistrati?
Se pensiamo che sono state bocciate anche l'eutanasia e la cannabis terapeutica, due situazioni molto importanti... Noi non siamo schiavi, siamo in democrazia quindi siamo liberi di esprimere la nostra umanità... e come faccio a farlo se sono steso in un letto e non posso fare nemmeno un gesto? Io come cittadino libero devo poter chiedere ad uno stato di liberarmi di questa sofferenza, ma lo Stato mi ha appena impedito di votare per avere la possibilità di farlo. O penso a chi soffre di una malattia terminale... la cannabis risolve qualche cosa. Io non ho mai usato cannabis ma è accertato il valore della cannabis a livello terapeutico per certe malattie. Per quel che riguarda invece, tornando a noi, la responsabilità civile dei magistrati, non votare su quello vuole dire mantenere quel potere esagerato per cui se io perseguito un cittadino innocente, anche magari in malafede perché non sono degno di amministrare la giustizia, so che tanto non ne pagherò le conseguenze, quindi potrò farlo tranquillamente. Nella nostra società chiunque se sbaglia è chiamato a pagare: un insegnante, un medico, un poliziotto, un imprenditore... solo i magistrati no, è assurdo. Sta di fatto che anche gli altri quesiti dei referendum sono importanti, ma questo è importantissimo perché eliminava tanti processi inutili, perché un magistrato si frena quando c'è il rischio troppo palese di sbagliare e dover poi risarcire la persona. Senza questo punto avremo sempre una giustizia incompleta, scorretta.
La situazione di tuo fratello, ora che è appena uscito il libro, si è nel frattempo risolta?
Ancora è in corso ma ci sono stati già due dibattimenti nei quali non è emerso nulla contro di lui, quindi credo che finirà bene. Mio fratello aveva una sola colpa: di mettere in pratica il regolamento penitenziario che dava ai detenuti alcune libertà, come quella di poter uscire in corridoio al posto di stare sempre chiusi in cella, specie d'estate che faceva un caldo incredibile. La sua colpa era di ascoltare la voce della sua anima e di quelle degli altri. Di provare a ripristinare in carcere condizioni di vita umane, dignitose, di trattare i detenuti da esseri umani, secondo Costituzione e diritti. Una gestione che però era vista male: perché la realtà è che il metodo apprezzato è quello stile "Santa Maria Capua Vetere", non quello giusto, sensibile, rigoroso ma da persona evoluta e libertaria di mio fratello. A marzo comunque avremo la sentenza definitiva: anche l'avvocato dice che l'assoluzione è quasi sicura perché nel dibattimento si è capito che contro di lui c'erano solo chiacchiere e diffamazioni.
Tu, invece, con questo libro hai appena vinto un premio, me ne parli?
Sì, è il premio internazionale Cygnus Aureus. Il libro era appena uscito e quindi lo ho presentato, ottenendo questo ottimo riconoscimento da parte di una giuria di esperti. Proprio lo scorso weekend, il 12 febbraio, sono stato a Roma per la consegna, all'Hotel Nord Nuova Roma, da parte della presidente del premio Marina Pratici. Io credo che questo libro sia stato premiato perché abbiamo avuto il coraggio di parlare apertamente di certe situazioni: come Palamara le ha descritte dal punto di vista del magistrato, io lo ho fatto dal punto di vista delle vittime della malagiustizia. Tanti mi hanno detto di lasciare perdere, che mi sarei fatto dei nemici, creato problemi, ma siccome la mia spinta era affettiva, perché dovevo salvare mio fratello da una situazione catastrofica, ho creduto che noi abbiamo la possibilità di ribellarci, in maniera democratica, alle ingiustizie. Io credo nella giustizia, come mio fratello e tutte le persone giuste: perché è il fondamento della nostra società. A tal proposito, per concludere voglio ricordare che anni fa Pannella, di cui fui il biografo ufficiale, fece una lista chiamata "Amnistia, giustizia e libertà": perché queste sono tre cose strettamente legate tra loro, la libertà con la giustizia e anche con l'amnistia, che vuole dire tiriamo fuori dalle carceri persone che magari sono dentro per un tiro di spinello. Bisogna fare pulizia nelle carceri, mettere dentro chi deve pagare perché la giustizia deve prendersi anche questo peso, ma tiriamo fuori i tantissimi che sono in carcere e non hanno vero motivo di starci.
Di Umberto Baccolo
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