Onorevole Antonio Martino, non c’è da star sereni. Il Governo Conte traballa, il Covid impazza, l’economanziché ia stramazza… Sono nato a Pescara e le rispondo con le parole del mio illustre concittadino Ennio Flaiano: “La situazione è tragica, ma non disperata”. Tutta colpa di Matteo Renzi? So, più di lui, che la politica del Governo non è tutta rose e fiori, ma perché non cercare di rimuovere le spine, anziché rompere tutto il vaso, quasi senza preavviso? La verità è che a Matteo Renzi di indirizzare l’azione di Governo non è mai interessato molto. La querelle è solo politica. Renzi non sopporta l’idea che Giuseppe Conte vada a occupare un’area politica che credeva sua. E scalpita, come un cavallo imbizzarrito, perché gli dicono che il suo consenso è sceso al due per cento, se va bene. E ora che succede? La confusione regna sovrana. Tutto si interseca e non combacia mai. Ci mancava solo l’avviso di garanzia al segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. E poi assisto, sbigottito e divertito, allo smarrimento dei deputati di Italia Viva che vorrebbero seguire il loro prode condottiero, ma hanno ben chiaro il rischio di rimanere incastrati in una terra di nessuno, che non è né di centrodestra né di centrosinistra e, conseguentemente di scomparire. Molti di loro sono letteralmente disperati. Ora tocca al Presidente della Repubblica trovare una strada chiara e definitiva. Renzi non può tenere in scacco il Governo e il Parlamento. Il Paese non può permettersi le sue bizze. La situazione è drammatica. Decine e decine di settori produttivi stanno affondando, come non era mai accaduto dal dopoguerra in poi. Perdere tempo è la prima cosa, che non ci possiamo permettere. Lei vorrebbe che Presidente Mattarella trovasse una soluzione chiara e definitiva. Per sbrogliare una matassa così ingarbugliata, lei non pensa che occorrerebbe un miracolo laico? C’è da capire se il Parlamento attuale è in grado di esprimere un’altra maggioranza. Se non fosse così, l’unica soluzione diventerebbe il ricorso alle urne. E, al di là delle responsabilità, il voto anticipato sarebbe una sconfitta per tutti e un grande danno per il nostro Paese. Fra campagna elettorale, voto, insediamento del nuovo Parlamento e formazione del Governo, si perderebbero quattro o cinque mesi. Le chiedo, la mia è una domanda retorica ovviamente, se ce lo possiamo permettere, vista la situazione in cui siamo. Lei auspica una nuova maggioranza. Pensa a un governo formato da Pd, Cinquestelle e la schiera sparsa e varia di Responsabili, Costruttori, Volenterosi e transfughi? La maggioranza può anche essere di natura e colore diverso. Questo è stato il Parlamento forse più duttile di tutta la storia della Repubblica. C’è stato un Governo gialloverde e poi uno giallorosso. Ora potrebbe toccare al centrodestra, che, come sa, è maggioranza nel Paese. Come numeri ci siamo quasi. Ci vorrebbe un nome, che potesse tentare una sintesi e un allargamento. Un nome, che non può essere né Matteo Salvini né Giorgia Meloni. La persona più indicata per meriti acquisiti, anche a livello internazionale, e capacità politiche è, secondo me, Antonio Tajani Ok per Tajani premier, ma come la mettiamo con i numeri? Una quasi maggioranza non basta. Anche per il Centrodestra ci vorrebbe qualche aiutino? L’aiutino potrebbe arrivare dalle file di Italia Viva e dei Cinquestelle. Conosco decine di parlamentari grillini, che si sentono più vicini alle posizioni del centrodestra che a quelle del malconcio Governo in carica. Sono stati spiazzati dal cambiamento di rotta dei loro vertici e sarebbero tentati dallo strappo. Verificare per credere. Qualunque sia il colore del Governo che verrà, dovrà fronteggiare una crisi economica senza precedenti e reperire le risorse necessarie per salvare il salvabile… Per ora, ho visto solo tentativi di tamponamento. Abbiamo cercato di supportare i settori in crisi con delle cifre inadeguate. Se lei pensa che in Germania i ristori hanno coperto il settanta per certo delle perdite e in Italia siamo fermi al quindici, si renderà conto del gap che abbiamo da colmare. Ma quello che manca di più è l’indicazione di una via di uscita, della luce oltre il tunnel. Un imprenditore può essere colpito dalle più grandi tragedie, ma una cosa non deve mai perdere, la speranza. Un’idea di futuro non c’è e così si rischia di soccombere non solo economicamente, ma anche psicologicamente Viviamo un paradosso, che fotografa perfettamente la situazione. La Borsa ha saputo trovare un suo equilibrio, più stabile rispetto all’economia di mercato. Questa è una crisi che viene dall’economia reale. La crisi di un Paese che non fattura più. Ora, però, arriva, in nostro soccorso, la montagna di soldi del Recovery Fund… Siamo il Paese a cui è stata destinata la cifra più alta, ma anche tra i pochissimi Paesi, che ancora non hanno presentato il Recovery Plan, richiesto dall’Europa. Poi, ci sarebbe anche il Mes… Guardi, il Mes non può essere l’oggetto di uno scontro politico. E’ solo una questione tecnica. Si tratta di capire se all’Italia convenga oppure no. Mi spiego con un esempio. Noi inseguiamo i trentasei miliardi del Mes, euro più euro meno, quando abbiamo, e lo dico da presidente di gruppo in commissione Finanze, novecento miliardi di euro dichiarati dall’Agenzia delle Entrate non incassabili. Anche il direttore dell’Agenzia, Ernesto Ruffini, è convinto che almeno il trenta per cento di quella ingentissima somma potrebbe essere recuperata. Sono il primo firmatario di una proposta di legge che renderebbe il recupero possibile. Sarebbero circa trecento miliardi, una somma quasi dieci volte superiore a quella del Mes. Una pace fiscale, se capisco bene, che potrebbe farci uscire dal guado con un autofinanziamento nazionale, al posto di miliardi elargiti… Al posto, non è detto. Sono soldi che potrebbero, in teoria, anche aggiungersi a quelli del Mes. Sarebbe una scelta di buon senso e sommamente redditizia. Ma… Ma… Ma ci sono le anime candide pregiudizialmente contrarie a qualsiasi forma di definizione agevolata, pace fiscale e condono, che remano contro, anche quando la barca rischia di affondare, travolta dalla crisi più devastante, mai esistita, a memoria della Repubblica italiana.
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