Serpi, dopo 205 anni di storia, finalmente i carabinieri hanno il loro sindacato. Come è nato il Sim?
C’è da fare necessariamente una premessa. Svolgevo, e tuttora svolgo, un’attività di rappresentanza del personale dell’Arma. Una rappresentanza, che ha funzionato benissimo, ma che con il tempo si è rivelata insufficiente e, soprattutto, non adeguata ai tempi. Un’attività che all’esterno veniva assimilata a quella di un sindacato giallo, che viene comunque compensata dalle attuali realtà sindacali. Il 13 giugno del 2018 una sentenza della Corte Costituzionale ha aperto il varco che mancava, abrogando la norma del codice sull’ordinamento militare che vietava al personale militare di iscriversi ad associazioni a carattere sindacale. A quel punto, con un gruppo di colleghi ed amici, mi viene l’idea di cogliere al balzo la possibilità ventilata nel dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale. Chiedo l’atto di assenso. E cambia la storia. Il 10 febbraio 2019 arriva l’assenso e nasce il primo sindacato delle forze armate. Da quel giorno abbiamo cominciato a operare, come una vera associazione sindacale, forti naturalmente della precedente esperienza di rappresentanza e di tutela dei diritti dall’interno dell’Arma. Oggi contiamo su cinquemila iscritti che, come tutti gli altri lavoratori, versano la quota sindacale dello 0,5 per cento della base stipendiale lorda, così come previsto dalla norma riguardante i sindacati di Polizia.
Di che cosa si occupa il Sindacato Italiano Militari Carabinieri?
Di tutto quello che riguarda il benessere e l’interesse del personale, comprese tutte le situazioni che lo coinvolgono in negativo. Abbiamo finalmente la titolarità a operare in contrapposizione all’Amministrazione dell’Arma laddove ne necessiti.
Anche sui provvedimenti disciplinari?
Assolutamente sì. La nostra prima volta, un vero battesimo sindacale, è stata in Sicilia, quando abbiamo impugnato, di fronte al Tribunale ordinario del Lavoro di Palermo, il trasferimento del nostro segretario provinciale, che era stato disposto sulla base di un comunicato sul Covid. Abbiamo iniziato vincendo la nostra battaglia. In sede conciliativa abbiamo ottenuto giustizia e il trasferimento contestato è stato conciliato a favore del nostro segretario.
Quali sono i vostri obiettivi?
Il nostro primo obiettivo è, al momento, quello di consolidare la rappresentatività. Una rappresentatività che, peraltro, già abbiamo dal momento che in base al disegno di legge tuttora fermo presso la Commissione bilancio del Senato, deve essere di almeno il quattro per cento, una soglia che già oggi tranquillamente superiamo con i nostri quasi cinquemila iscritti. La rappresentatività è la conditio sine qua non per poterci sedere al tavolo delle contrattazioni di categoria, in modo da poter, ad esempio, discutere la fase contrattuale presso il tavolo negoziale della funzione pubblica in riferimento il comparto sicurezza.
Di che cosa hanno bisogno i carabinieri italiani nell’anno di grazia 2021?
Abbiamo bisogno di un salto culturale che ci adegui ai tempi. Non siamo più i carabinieri di duecento anni fa. Non siamo più i carabinieri del dopoguerra: non siamo più neppure i carabinieri di venti o di dieci anni fa. Siamo, per l’appunto, nel 2021. La criminalità è cambiata. Gli organici sono insufficienti e distribuiti senza un adeguato piano di coordinamento. Mancano i materiali. Mancano le attrezzature. Manca, soprattutto, una normativa di tutela, che abbiamo più volte sollecitato e richiesto a gran voce anche con una grande manifestazione tenutasi a Roma, in Piazza del Popolo. Vogliamo le garanzie funzionali. Quelle garanzie che ti permettono di operare in tranquillità, senza che poi puntualmente arrivi l’atto dovuto, ovvero l’avviso di garanzia. Sbagli sempre. Gira e ti rigiri, è sempre lo stesso paradosso. Se fai, perché fai? Se non fai, perché non fai? Se intervieni sbagli, se non intervieni sbagli. Insomma, le forze dell’ordine sbagliano sempre e comunque. E’ uno stato confusionale non più tollerabile. Dobbiamo, finalmente, scuotere le coscienze. A partire da una sacrosanta verità: un operatore di polizia, quando opera, opera per lo Stato e non per se stesso. Fermo restando che il fine ultimo resta la tutela e la sicurezza del cittadino.
Sindacalizzazione vuol dire anche riacquistare il diritto di parola. Le faccio, quindi, una domanda sull’attualità giudiziaria e politica. Che cosa pensa delle rivelazioni sui meccanismi malati di una parte della giustizia dell’ex Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara?
Ben venga una riforma della giustizia che arriva dall’interno e si fonda su persone competenti e di spessore come Luca Palamara. La giustizia, come le forze di polizia, non è più adeguata ai tempi. Bisogna metterci mano. Ho letto il libro intervista di Alessandro Sallusti: Palamara fa luce su uno spaccato che sorprende fino a un certo punto, e che lui ha voluto raccontare. E’ un uomo che a 39 anni è diventato Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Un magistrato con un trascorso esemplare e di spessore che può, in prima persona, dare il proprio contributo laddove necessiti la riforma della giustizia italiana.
Secondo lei, Palamara ha, quindi, fatto bene a candidarsi alle elezioni suppletive per la Camera dei Deputati?
E’ una sua scelta personale su cui non voglio entrare, anche perché come sindacato siamo apolitici. Non sono io a potermi esprimere su un diritto costituzionalmente garantito. Se lui ritiene che il Parlamento sia la sede idonea per dare spazio e far valere i suoi ideali e, soprattutto, per dare il proprio fondamentale contributo alla stesura di una riforma della giustizia, i cui mali e le cui necessità, forse, nessuno come lui conosce, ben venga il suo contributo.
di Antonello Sette
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