Intervista di Antonello Sette, #SprayNews, al professor #ArturoParisi, ex ministro della Difesa
“Per la politica il governo #Draghi è peggio di una Caporetto perché nessun generale fra un anno proclamerà la vittoria”
“Il Pd non ha un progetto per il futuro. Per questo è al governo, ma non governa”
“Per i politici la parola ha perso ogni significato e ogni valore”
Professor #Parisi, Mario Draghi presidente del Consiglio è la Caporetto della politica? Se per politica, intendiamo, come di norma accade, la classe politica e, più precisamente, quelli che oggi fanno dell’esercizio di funzioni politiche, la loro professione, mi sembra un paragone ottimistico. Come dimenticare che appena a un anno da quella pesante sconfitta, la Caporetto entrata nel nostro linguaggio a indicare la disfatta per eccellenza, Diaz proclamò la nostra vittoria? Lei pensa possibile che la classe politica potrebbe mai stilare in un vicino domani un bollettino per gridare al vento “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”. Ammesso che questo possa accadere, tenderei, tuttavia, ad escludere che quella classe politica possa essere composta dagli stessi politici che oggi sono usciti sconfitti. Lei è stato uno dei protagonisti della stagione dell'Ulivo. C'è spazio per una ricostruzione di quella esperienza o almeno di quello spirito? Lo spazio per una esperienza di quel tipo, ripeto, di quel tipo, potrebbe pure riaprirsi. Diciamo lo spazio. Lo spirito è un’altra cosa. Quello che si è perso per strada è il presupposto fondamentale. Un assetto istituzionale, che giustifichi e alimenti una competizione maggioritaria di tipo bipolare tra progetti di governo che, pur tra loro alternativi, sono pensati ambedue per il Paese. Il Pd sembra ormai rincorrere solo gli eventi. Può tornare, secondo lei, ad avere un ruolo riformatore? Purtroppo il Pd è finito a rincorrere gli eventi, perché rincorre l’illusione di affrontare il futuro con alleanze che soddisfino l’istinto egemonico del suo attuale gruppo dirigente. È così che è finito con lo scambiare il governare con lo stare al governo. Per governare ci vuole un progetto per il futuro del Paese. Ma perché affaticarsi a pensarlo se tanto la legge proporzionale spinge al massimo a rinfrescare con gli antichi elettori l’identità che viene dal passato, rinviando alle variabili alleanze, successive al voto, il progetto di un’Italia futura? Lo dico per il Pd, ma in vari modi vale per tutti. Quale è il suo giudizio sull'ipotesi di una santa alleanza fra PD, M5S eLeu? Lasciamo il santa, non foss’altro che per un momento i santi e gli empi sono più o meno tutti dalla stessa parte. Se mi avesse sentito qualche giorno fa le avrei detto che non vedevo in grande salute neppure l’alleanza, che, nel silenzio-assenso di Zingaretti, Bettini cantava a giorni alterni come organica, strutturale, generale, e a tempo indefinito. Ho sentito invece un recente contrordine che ha negato perfino che sia stata mai prospettata. Se pensa che appena ieri si è perso per strada anche Conte ridotto da leader di tutto il campo progressista a semplice vicario sulla terra grillina dell’unico Grillo “elevato” nell’alto dei cieli! Trasformando così il M5S nel competitor più insidioso per il Pd: Si continua a parlare di un blocco centrista che potrebbe diventare l'ago della bilancia fra i due contrapposti schieramenti, con in campo, a contendersi lo scettro, Matteo Renzi, Carlo Calenda, Emma Bonino e Bruno Tabacci. Secondo lei è un'ipotesi plausibile o un progetto velleitario? Schieramenti? Blocchi? Diciamo al massimo aree. Area come aria non come superficie. Come dimenticare che la logica e lo spirito della legge proporzionale spinge ognuno a fare da sé. Per contendere innanzitutto al vicino i consensi vicini. Per mettersi d’accordo, si pensa, c’è sempre tempo, Ma dopo il voto. Questo vale dentro ogni area. In quella che lei chiama centrista forse più delle altre. È proprio nei campi più frammentati che per ognuno è più difficile abbandonare la pretesa di primeggiare sugli altri. Lei crede nella conversione europeista di Salvini? Come si può pensare che #Salvini sia passato d’un tratto da anti europeista a europeista? Ha semplicemente approfittato della tregua e del reset che Draghi ha aperto nel sistema politico per uscire dall’angolo, in cui si era cacciato, dimenticando che ormai l’Europa è il campo nel quale tutte le parti sono chiamate a giocare, a meno che non vogliano chiamarsi fuori dalla storia presente. Come poteva mai il partito che, come Lega Nord per l’indipendenza della Padania voleva separarsi dal Meridione per unirsi al nord europeo, mettersi alla testa del Meridione per separarsi dall’Europa? Europeista è per Salvini ancora una parolaccia. Forse è meglio dire che da anti europeista si è riproposto come un diversamente europeo. Che cosa l'ha più indignata nel periodo che va dalla "ribellione" di Renzi all’avvento di Mario Draghi? Quello che mi ha indignato, e continua a indignarmi, è la crescente perdita di ogni valore della parola. Della parola detta come di quella data. Dico della misura della sfrontatezza. Della misura. In un tempo nel quale di ogni parola resta traccia sulla rete e dalla rete può essere risuscitato con un click, l’opportunismo e il trasformismo che già domina di suo la nostra quotidianità, dalla politica trabocca moltiplicato nella società ogni giorno di più fino a corrompere il nostro intimo, come mai era successo in passato. Si può continuare così?
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