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Immagine del redattoreCarpe Diem Macchioni Communications

Barbareschi a "LaVerità": «Dal caso Palamara trarrò una serie tv sulla magistratura»

“L’attore, regista e produttore Luca Barbareschi girerà una serie tv ispirata allo scandalo del Csm: «Non può esistere una magistratura politicizzata. Ho vissuto i danni sulla mia pelle, quando ho ricevuto avvisi di garanzia, considerati una fatwa»”




La vicenda Palamara, portata alla luce dalla Verità , ha scoperchiato un vaso di Pandora ben noto di incastri, sovrapposizioni e connivenze tra magistratura e politica, e potrebbe essere fonte d’ispirazione per un progetto televisivo di lunga serialità. Ci sta pensando Luca Barbareschi: ha confidato a Spraynews che, con la sua Casanova Produzioni, riflette sulla possibilità di utilizzare un caso da prima pagina come leva per raccontare l’Italia di oggi, la sua tipica antinomia costitutiva: «Un Paese in cui la crasi tra bellezza e spiritualità è evidente, ma non c’è volontà di valorizzarla perché non si riesce a crescere, a diventare grandi, a smetterla con la smania di trovare i capri espiatori, omaggiando il potente di turno prima, demonizzandolo poi, in un corto circuito di piccoli personalismi e carrierismi». Barbareschi, attore, regista, produttore, conduttore tv, imprenditore, direttore artistico del Teatro Eliseo ed ex parlamentare, quelle pieghe nascoste nella coscienza nazionale sostiene di conoscerle bene. «Un dibattito stimolante oggi è tra il potere dell’idea e l’idea del potere»


Racconterà la vicenda Palamara e alcuni difetti strutturali della magistratura italiana?


«Posso dire che sto pensando a una serie tv ispirata anche a quei fatti. Da tempo sono osservatore di macrosistema italiano che dura da decenni e coinvolge un certo modo di vivere le istituzioni».


C’è un problema all’interno della magistratura?


«Prima di tutto, l’Italia è il Paese dei capri espiatori. Lo è dai tempi di Mussolini, di Andreotti, di Bettino Craxi. Si pensa di uccidere il capro espiatorio per risolvere il problema. Ma il problema permane e fa parte dell’evoluzione intellettuale e democratica del Paese. Mi viene in mente un esempio molto diverso, ma altrettanto emblematico » .


Dica.


«Lo smaltimento dei rifiuti tossici. Si è molto bravi a trovare e condannare gli autisti dei tir su cui quei rifiuti viaggiano. Meno bravi nell’individuare i mandanti veri, le grosse aziende colluse con la criminalità organizzata».


E la magistratura?

.

«Il discorso intorno alla magistratura è antico: non può esistere una magistratura politicizzata. L’ho vissuto sulla mia pelle in alcune occasioni, quando ho ricevuto avvisi di garanzia perché magari non ero troppo simpatico a un magistrato. L’av v i s o di garanzia, lo dice la parola stessa, dovrebbe garantire chi lo riceve. Oggi è diventato una fatwa. La responsabilità è l’uso politico e personale che alcuni magistrati fanno del ruolo ricoperto. Penso a Tangentopoli, con Antonio Di Pietro. O al Pm John Woodcock. Penso a processi durati più di vent’anni, con imputati alla fine assolti. Però con la vita stravolta».


Esistono le correnti a cui i magistrati partecipano.


«Che cosa significa corrente? Già un nome come Magistratura Democratica, così totalizzante nel suo significato, induce a pensare che ve ne siano altre non democratiche?»


E Partito Democratico, allora?


«In quel caso potrebbe diventare l’acronimo di Pensiero Dominante».


Dominante perché domina su altri?


«Ho fatto un sacco di cose nella mia vita. Ho lavorato a New York, sono stato diretto da Roman Polanski, realizzato un’infinità di spettacoli teatrali. Eppure, ogni volta che ho bussato ad alcune porte per presentare dei progetti, c’era chi faceva finta di non sapere chi fossi. Perché non ero allineato a un certo pensiero dominante».


Barbareschi come capro espiatorio?


«È capitato. Mi hanno dato più volte del fascista, dell’uomo di destra. Mio padre era partigiano, ma partigiano bianco, quella parte che troppo spesso viene dimenticata nelle citazioni e in alcuni libri».


Si tratta di un discorso culturale?


«Prendo a prestito Robert Hughes nel suo libro La cultura del Piagnisteo: profetizzava che la ragione avrebbe lasciato il posto alla Rivelazione e che al posto della legge razionale, fatta di verità oggettive, la conoscenza sarebbe diventata un insieme di visioni soggettive. Non più verità, ma opinione. Non più visione a lungo termine, ma personalismi per carriere a brevissima scadenza».


Dunque il problema dell’Italia sono i personalismi?


«Stavolta prendo a prestito Jonathan Sacks nel suo Moralità: io devo credere che nelle istituzioni ci siano persone al servizio del Paese. La magistratura, le istituzioni, sono fatte al 90% di gente perbene. L’iperpersonalismo può portare a una delegittimazione delle istituzioni, magistratura inclusa».


C’è una ricetta per cambiare le cose?


«Sono un ottimista di natura. Il mondo è migliorato dal medioevo a oggi. Migliorerà anche domani. In passato, l’eccesso di spiritualità ha portato alla Guerra dei Cent’anni. Poi l’eccesso di secolarizzazione ha portato alla barbarie nazista. L’Europa deve ritrovare quella rielaborazione emotiva che le ha consentito grandi stagioni di creatività. La politica svolgerà un ruolo centrale in tutto questo» .


Politica, magistratura, informazione. Sono ambienti comunicanti.


«Cito Ida Magli: i giornalisti sono i sacerdoti dell’informazione. Occorre informare in modo equilibrato, corretto, evitando la stessa deriva della personalizzazione di cui parlavamo prima, rischio piuttosto facile col mondo social e con la rete».


Per la sua prossima fiction ha in mente un editore in particolare?


«Il primo nome che mi viene in mente è la Rai. Penso a successi da me prodotti come la fiction su Olivetti o su Pietro Mennea. La Rai è Politicizzata, senza dubbio - io da tre anni a questa parte non ho potuto accedervi -, ma con cui si può sempre intavolare una trattativa. Altri editori, magari anche le nuove piattaforme, sono più rigidi, quando scelgono una linea. E spesso è sempre la stessa»

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