di Biagino Costanzo, Dirigente d’azienda e Socio AIDR
Si è appena celebrata, lo scorso 7 febbraio, su iniziativa del MIUR, la Giornata Nazionale contro il Bullismo e il Cyberbullismo. Argomenti questi già approfonditi, ma ancora, in questo caso, repetita iuvant. Lo sappiamo, la digitalizzazione è sempre più protagonista nel nostro vivere quotidiano, è elemento essenziale non solo in ambito lavorativo e di studio ma è intrinseco nella interazione sociale con gli altri. Uno degli aspetti positivi è la possibilità di comunicare istantaneamente con altre persone siano essi familiari, amici, colleghi o anche estranei, sempre e in tutto il mondo.
Ancor di più in questo momento storico, dove sia gli addetti ai lavori che non, spingono per una giusta, utile, maggiore e capillare diffusione digitale in tutto il territorio nazionale, la rete è una utile occasione di socialità e comunicazione, molte volte di soccorso immediato per chi è in difficoltà, di velocità di informazione, ma non possiamo assolutamente permettere che sia contemporaneamente la porta d’ingresso per mali altrettanto subdoli, dolorosi e talvolta molto peggiori che nascondono problematiche più significative e, tralasciando la cyber sicurezza intesa in modo complessivo, argomento già esaminato (https://www.aidr.it/digitalizzare-si-ma-senza-sacrificare-lhuman-factor/) , uno dei mali che sta assumendo contorni sempre di maggior rilievo, pericolosità ed importanza è il bullismo virtuale o come è stato per prima definito dal professore canadese Bill Belsey, il “cyber bullismo” ovvero manifestazioni violente realizzate da un singolo o da un gruppo per provocare danno, intimidire coetanei incapaci di difesa. Tutte vittime di shitstorm.
A seguito dell’emergenza sanitaria negli ultimi due anni si è discusso molto di come reprimere e come prevenire questo bieco fenomeno aumentato in una fase in cui con l’incremento della Dad nelle scuole si è assistito a numerose denunce di un uso scorretto di piattaforme digitali dove anche i docenti sono diventati bersaglio di insulti e scherno non solo da parte dei propri studenti ma anche per opera di terzi che condividendo il link della lezione ne approfittavano per colpire, offendere e denigrare.
È di questi giorni la notizia che finalmente, dopo… 8 anni, altra vergogna, è arrivata la sentenza in primo grado che ha condannato tal Mario Abignente, di 49 anni, a 10 anni e sei mesi di reclusione per violenza sessuale e stalking. Sui social ha adescato una quindicenne fingendosi uno studente di 29, quando l’ha convinta ad incontrala davanti all’istituto superiore dove la ragazza studiava, l’ha portata in una struttura abbandonata nella periferia romana e ha abusato di lei.
Ma questa è solo una goccia nel mare. Centinaia sono i casi dove il web porta morte basti pensare al Blue Whale, al Jonathan Galindo, al Blackout Game in cui la metamorfosi dell’individuo non lascia via di scampo.
Questi nuovi burattinai sono in grado di percepire e sfruttare il disorientamento e la vulnerabilità dei giovani ragazzi per affermare la propria onnipotenza sulla rete, utilizzata come palcoscenico di spettacolarizzazione della morte.
Il tornaconto in questo caso non è il denaro, ma sfrutta lo stesso – sottilissimo – vizio capitale: la superbia, vettore di ostentazione per il disprezzo altrui. In quali lacune si insidia la manipolazione? Può la rete, da sola, ipnotizzare a tal punto la mente di un individuo?
Nei casi simili a quello citato, nell’analizzare i comportamenti dei giovani, è emersa una ricorrente introversione ed una tendenza a passare molto tempo in solitudine, al cellulare, con la comparsa di lesioni sulle braccia (tagli, graffi) giustificati con le scuse più banali.
Come spesso accade, l’esposizione mediatica dei fatti di cronaca legati ai cosiddetti “giochi della morte”, non innalzano il livello di attenzione nei giovani, ma per un qualche contorto meccanismo, ne stimolano la curiosità e la partecipazione.
Ecco allora che anche quei ragazzi apparentemente più forti e sicuri di sé, diventano le fragili vittime di questi novelli creatori di gang che partono via social a convocare, per esempio, appuntamenti per “sfogare” una inquietudine ormai non più derubricabile alla irrilevanza e ci ritroviamo le tante risse che si susseguono nelle piazze del nostro Paese.
Tutto questo con le famiglie un po’ “distratte” diciamo. La sempre più scarsa attenzione di molti genitori e degli “adulti” che non parlano più, davvero, con i propri figli, ha come risultato l’indifferenza e la disattenzione verso gli stati di umore dei giovani, con l’errata convinzione che la costante interazione con la tecnologia possa sopperire alle conversazioni padre-figlio.
È facile scaricare la responsabilità, come spesso avviene, su tutto il resto del mondo: la scuola, le istituzioni e la società intera, pur di rimanere cechi sulla propria superficiale trascuratezza. La crescente preoccupazione circa i numerosi episodi di cyberbullismo, ha portato necessariamente il Legislatore ad affrontare il tema e dopo un lungo iter, nel 2017 è stata approvata la Legge 29 maggio 2017, n. 71, recante “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”. Le più recenti statistiche confermano la crescita esponenziale del fenomeno del cyberbullismo e la necessità di apportare strumenti di prevenzione e sensibilizzazione
Il Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia online della Polizia di Stato, ha segnalato che nel 2021 è avvenuto un significativo incremento dei casi di sfruttamento sessuale dei minori e di adescamento online. ha coordinato 5.515 indagini con un incremento del 70% in più rispetto al 2020, all’esito delle quali sono state eseguite oltre 1.400 perquisizioni ( 87% in più rispetto all’anno precedente). Sono state 137 le persone arrestate (+98% circa rispetto al 2020) e 1400 le persone denunciate (+17% rispetto al 2020).
L’attività di prevenzione è stata eseguita analizzando oltre 29 mila siti internet, 2.539 dei quali oscurati perché recanti caratteristiche pedopornografici. Non sottovalutabile è anche il considerevole aumento dei fenomeni di sextortion aumentati del 54% rispetto al 2020 e revenge porn con un incremento del 78%; gli agenti hanno trattato oltre 500 casi denunciando oltre 1.400 persone.
Sin da subito emerge l’intenzione di predisporre una definizione più ampia possibile di cyberbullismo ricomprendendovi “qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”.
Non ci stancheremo mai di ripetere che l’universo dei social è questo, un orizzonte che a guardarlo tutto insieme è puro caos, un formicaio impazzito di cui però nessuno se ne accorge, sono convinti di stare davanti al mondo intero ma i social solo estremamente pulviscolari, per loro stessa natura, non si osservano nel loro insieme, ma suddivisi in tanti piccoli pezzetti, ciascuno chiuso nella sua propria bolla, nel suo frammento di puzzle.
È proprio per questo che, calati improvvisamente nella complessità del reale che ha, in sé, il “difetto” proprio della continuità spazio-temporale, ci si trova nel caos, disorientati, deboli, incapaci di risposte. Insomma, una cosa è l’on line, altra è confrontarsi con la realtà, affrontare i problemi, metterci il cuore e la testa guardare negli occhi il proprio simile e non riguarda certo solo i ragazzi ma soprattutto gli adulti (!?).
In gioco vi sono la civiltà, il progresso sociale, il senso umano del condividere gioie e dolori, la vita in generale.
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