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Immagine del redattoreCarpe Diem Macchioni Communications

Cicchitto a 'Il Tempo': I protagonisti politici di quella vicenda sono usciti di scena da tempo

La mobilitazione tv sulla «trattativa» ormai solo un attacco ai carabinieri




“Caro direttore, non da oggi c'è una sorta di mobilitazione da parte di alcuni conduttori e di alcune trasmissioni televisive (Sigfrido Ranucci e Report su Rai 3, Giletti e Purgatori su La 7) e dai magistrati direttamente interessante ai processi per esercitare il massimo di pressione mediatica affinché l'ultima occasione in merito, il processo di appello sulla «trattativa» si concluda in un certo modo e cioè con la condanna di chi all'epoca guidava i Ros, cioè il generale Mori con l'allora capitano De Donno. Conta poco che costoro sono stati per anni in prima fila nella lotta alla mafia e che hanno assicurato alla giustizia il capo dei corleonesi, cioè Tote) Mina, conta poco che essi sono stati già assolti in altri processi, conta poco che nel rito abbreviato sulle stesso argomento, dopo un calvario durato 30 anni, l'onorevole Mannino è stato assolto facendo venir meno un tassello fondamentale a tutto il castello accusatorio. Infatti il termine stesso «trattativa» ha un senso perché implica la presenza di un'autorità politica-governativa in un certo senso protagonista delegante. Invece, giunti alla meta, di autorità politica protagonista non rimane che un nulla in campo: fuori Mancino, fuori Mannino, ovviamente fuori Scalfaro, Martelli, Scotti e lo stesso Conso non rimane più nulla. Rimangono sul campo solo i Ros chiamati in causa da quel Ciancimino jr. che è l'ultima raffica mediatico-giudiziaria messa in campo dalla mafia corleonese: si tratta del figlio, con interessi economici connessi in Italia e all'estero, di quel Vito Ciancimino, già sindaco di Palermo, che era prima mafioso di obbedienza corleonese e poi democristiano-andreottiano. Cie) detto, la trasmissione di giovedì sera a La 7 da parte di Giletti è apparsa più un'esibizione dello straripante conduttore che, a imitazione del libro di Veltroni dal titolo: Io e Berlusconi, potrebbe intitolare la trasmissione «Giletti e la mafia», fondata su una serie di messe cantate con i pm storicamente impegnati su una tesi ben precisa, cioè Ingroia e Teresi, assistiti dall'avvocato Rigotti. Tutti, senza contraddittorio, tramite Giletti hanno potuto ribadire le loro ragioni anche in esplicita polemica con le sentenze istruttorie. Le uniche novità anche televisivamente apprezzabili sono consistite nell'intervista al commissario di PS Barbera che si salve) miracolosamente da un attentato sparando e buttandosi in mare e nella ricostruzione dell'arresto di Provenzano da parte di un grande poliziotto come Cortese. Questa volta Giletti si è guardato bene dal far partecipare personalità di opposti paren. Peccato. In una trasmissione precedente su La7 (Atlantide con Purgatori) che aveva lo stesso obiettivo le cose erano state complicate da presenze moleste e comunque non allineate come quella di Fiammetta Borsellino e di Antonio Di Pietro. Fiammetta Borsellino è giustamente concentrata su un punto: l'incredibile depistaggio operato nei confronti del processo per l'assassinio di suo padre, del quale l'allora pm Di Matteo non si rese conto (lo capi invece Ilda Boccassini ma non fu ascoltata e poi fu trasferita a Milano), depistaggio che fu operato non certo dal generale Mori e dal capitano De Donno ma da un pezzo da novanta della polizia cioè dall'ispettore La Barbera che poi ritroveremo a far danni anche al G8 di Genova (assalto del reparto celere alla Diaz) essendo lì l'uomo di fiducia dell'allora capo della polizia De Gennaro. Nel corso della trasmissione Fiammetta Borsellino non ha dato alcun spazio o copertura a chi voleva farle dire che c'era stata una rottura fra suo padre e i carabinieri del Ros e pere) è emerso durante essa in modo assai inquietante un atteggiamento ossequioso nei confronti dell'allora procuratore Giammanco che invece giocò una spericolata partita per evitare che Borsellino potesse mettere le mani e sviluppare le indagini sul faldone mafia-affari costruito dal Ros che interessava molto anche Falcone e che fu subito archiviato dopo che Borsellino fu ucciso. Anzi, a questo proposito, stato molto interessante quello che nel corso di quella trasmissione ha raccontato Di Pietro. Di Pietro ha detto che Borsellino lo pregò di aprire indagini sulla mafia e gli industriali del Nord e poi ha aggiunto che dopo Borsellino fu anche interpellato dal capitano De Donno che gli disse «Dacci una mano, perché noi qui attraverso la procura di Palermo non riusciamo a cavare un ragno da un buco». Secondo l'interpretazione corrente si è trattato di una vendetta della mafia per il maxi processo, secondo quest'altra versione, sostenuta anche da Ingroia, l'obiettivo era quello di evitare che Borsellino mettesse gli occhi sul dossier mafia-appalto di per sè esplosi[1]vo perché coinvolgeva imprenditori del Nord e responsabilità politiche del tutto imprevedibili. Il 19 luglio Borsellino fu fatto saltare in aria, e la settimana successiva fu firmata la richiesta di archiviazione che fu accettata il 14 agosto è così fu messa la parola FINE alla indagine del generale Mori e del Ros. Di conseguenza a fronte di una inesistente trattativa Stato-mafia (caso mai ci fu il tentativo di inviare un segnale per smorzare l'attenzione questo consistette nella unilaterale operazione sulle carceri fatta dall'allora guardasigilli Conso, persona al di sopra di ogni sospetto e da lui stesso realmente riconosciuta), sul tappeto c'era e c' ben altro. Il depistaggio del processo Borsellino fu fatto per evitare di verificare i con[1]tenuti del pericoloso dossier Mafia-appalti che avrebbe disturbato poteri economici e politici che così l'hanno fatta franca. È proprio il caso di dire che Mori e De Donno sono stati «cornuti e mazziati» più di una volta. Ma la loro colpa originaria è ben nota: quella di aver provocato l'arresto di Tote) Riina e quindi di aver inflitto un colpo durissimo alla Mafia corleonese, della quale era parte organica Vito Ciancimino.”

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