E’ più che una sensazione, leggendo l’articolo che il Corriere di domenica ha riservato a Cinecittà, quella di essere presi in giro dal giornalista, dal giornale, e dagli intervistati.
Viene costruito uno scenario, che non fosse per la totale mancanza di elementi, sembrerebbe realistico, ed invece è o-sceno, nel senso che è fuori da qualunque logica scenica imprenditoriale.
Diciamo subito che se i 200 milioni di euro promessi fossero devoluti alla tabaccheria di Via Tacito, anche il tabaccaio riuscirebbe ad inventarsi qualcosa di mirabolante, ma dal momento che i soldi, per una ripartizione che sa di manuale Cencelli, il Ministero della Cultura avrebbe dovuto in qualche modo giustificarli, ecco che l’unica struttura, seppur baraccosa, seppure massacrata da Abete, seppur invasa di personale era Cinecittà, ed ecco che era necessario costruire l’immagine accettabile di un luogo privilegiato e operoso.
Da qui l’assunzione di Maccanico, l’unico uomo nominato a cinque anni amministratore delegato dell’asilo nido, che ha lasciato lo scomodo posto a Vision dopo aver trattato uno stipendio adeguato, o la nomina di una Presidente direttamente istruita da Giancarlo Leone e sostenuta non si sa perché dalla Borgonzoni, il fantasma culturale della Lega.
Da qui il riversare su Cinecittà di incarichi incompatibili con le forze in campo, come il Pubblico Registro Cinematografico, che dal suo alveo naturale e storico della Siae è stato traslocato baracca e burattini nella azienda di teatri di posa dove è stato accolto come sgradito ospite, provocando una specie di palude melmosa nella quale i contributi statali restano impigliati.
Ma la macchina politica non si ferma davanti a nulla, agevolata dai media e dai complici, tanto che “dominus” di tutto il complesso giro di denaro, destinato nessuno ha saputo spiegare come, ma certamente in gran parte ad istallazioni inutili e fuori tempo, è stato messo un personaggio enigmatico sia fisicamente che caratterialmente, Goffredo Bettini, anima del PD ma già artefice del festival più costoso dell’epoca, il Festival di Roma, che oggi viene realizzato con un decimo delle cifre di allora.
Pertanto Bettini controllore e notaio dei fondi? Sembrerebbe l’unico motivo per giustificarne la presenza, in un settore nel quale forse non era un grande esperto.
Così, a distanza di quasi vent’anni dal tentativo fallito di Urbani di rivitalizzare Cinecittà, siamo da capo a dodici, ci riprova Franceschini, che dopo aver fallito la sua “Netflix all’italiana” con la sciagurata operazione Cili, deve rivalersi in qualche modo, per lasciare un segno che non sia una grande voragine.
Cinecittà, per chi non la conoscesse, non è altro che un appezzamento di terreno, nemmeno troppo grande, con sopra capannoni semindustriali, alcuni ricchi di amianto, in alcuni dei quali sono stati girati i film di Fellini, il quale è il grande nume titolare dell’area, che diversamente sarebbe ricordata solo come la tomba di alcune decine di miliardi, a partire da Musolini transitando per Grippo, Blandini, Livolsi ed ora Maccanico, che intanto è riuscito nel difficilissimo compito di affittare parte delle strutture a Freemantle, società estera, esterodiretta e bulimica, che probabilmente pagherà la pigione ed occuperà nel tempo anche il resto.
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