La procura di Milano non commenta la sentenza che assolve gli imputati della più grossa presunta tangente mai finita davanti a un tribunale e che ha visto coinvolte multinazionali come Eni e Shell. Per i giudici della corte d'assise "il fatto non sussiste". Parole che segnano la sconfitta dell'accusa - rappresentata dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e dal pm Sergio Spadaro - che aveva chiesto la condanna a 8 anni di carcere per gli imputati accusati di corruzione internazionale, tra cui l'attuale ad di Eni Claudio Descalzi e il precedessore Paolo Scaroni. Non è il primo processo che vede De Pasquale nei panni della pubblica accusa contro il colosso di San Donato. E' lui che nel 1993 segue l'inchiesta legata all'operazione Enimont che genera la cosiddetta 'madre di tutte le tangenti' e 'apre' la stagione di Mani Pulite. L'indagine, che coinvolte tra gli altri Raul Gardini e Gabriele Cagliari, apre uno squarcio nell'intreccio tra politica e finanza e porta a diverse condanne. Il suicidio di Cagliari segna anche un periodo di dure polemiche sull'uso della custodia cautelare, sebbene le indagini successive sostennero che non ci fosse stata negligenza da parte del pubblico ministero. E' sempre De Pasquale ad aver ottenuto, ai tempi di Tangentopoli, la condanna di Bettino Craxi - insieme a Salvatore Ligresti - per le tangenti Eni-Sai. Nel 2015 è ancora il magistrato messinese, insieme ai colleghi Isidoro Palma e Giordano Baggio, a chiedere il processo per la presunta maxitangente pagata in Algeria da Saipem. Se in primo grado l'accusa porta a casa parte del risultato, nel gennaio 2020 la corte d'appello assolve tutti: la tangente da 197 milioni non è mai esistita. Eni non è mai uscita dai radar della procura di Milano e nel mirino ci sono attualmente gli affari in Congo, su cui ancora si indaga. Intanto il prossimo 25 marzo il gip Sofia Fioretta dovrà pronunciarsi sulla richiesta della procura di una misura interdittiva di stop di due anno alla produzione di petrolio di Eni in Congo nei pozzi 'Marine VI e VII' e in subordine il commissariamento di queste attività.
"Ci discostiamo dal solito refrain le sentenze si accettano e non si discutono. Da liberi cittadini sentiamo il dovere di chiederci con quali prove e con quali basi il teorema è stato per tanti anni portato avanti? Ci chiediamo come si fa a chiedere 8 anni di condanna e poi avere una sentenza che dichiara il fatto non sussiste. I manager De Scalzi e Scaroni top manager che hanno reso negli anni l Eni più forte sui mercati, fatto guadagnare gli azionisti in primis lo Stato che detiene il 30% del capitale, sono stati sulla graticola per anni, hanno presenziato a Cda e convegni fatto acquisizioni e fusioni, scoperto giacimenti laddove altri non hanno neppure cercato, hanno fatto tutto questo sempre con l'ombra di un reato che come la spada di Damocle pendeva minaccioso. Tutto questo non sarà pagato da nessuno, dovremo chiederci quanto possa aver inciso sulla credibilità in alcuni momenti o trattative seppur vincenti, noi ce lo chiediamo non sappiamo se chi ha seguito il teorema dei grandi corruttori si pone domande, ci auguriamo che la coscienza chieda conto, come ci auguriamo che il neo Ministro della Giustizia metta mano ad una responsabilità che da troppo tempo lascia vittime sul terreno come Palamara insegna. Ora il 25 marzo Il Gip deve dare risposte sull' altro fronte del Congo dove si chiede addirittura lo stop alle attività dell' Eni...e tutte le aziende dell' indotto, alla luce dell' ultima sentenza ci auguriamo venga fatta la massima attenzione sui fatti consci che la fiducia sulla giustizia deve continuare ad accompagnarci, seppur le vicende che ogni giorno ci dispensano le cronache e i retroscena del best seller editoriale Sallusti Palamara ci facciano vacillare. Federico Tassinari "
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