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Immagine del redattoreCarpe Diem Macchioni Communications

Fabrizio Cicchitto a 'Il Riformista': Guai per Salvini e Meloni senza un Presidente garante

Pensano di tenere Draghi al governo, mandare al Quirinale una personalità di caratura non straordinaria e poi vincere le elezioni? In assenza di un capo dello Stato fortemente europeista, l’Ue e gli investitori non si sentirebbero garantiti da un premier che ha civettato con Le Pen e Orban.




“Fino al 1989 l’Italia è stato un Paese a sovranità limitata, nel quale hanno esercitato un enorme peso in primo luogo gli Usa, in secondo luogo il Vaticano, in terzo luogo l’Urss. Nella seconda metà degli anni Quaranta e durante gli anni Cinquanta l’Italia ha corso il rischio di una guerra civile calda, ma Togliatti e De Gasperi l’hanno evitata sulla base di un elementare do ut des, il primo spense ogni velleità rivoluzionaria, il secondo rifiutò ogni ipotesi di mettere il Pci fuori legge. Ciò non ha evitato una guerra civile coperta, da un lato con la strategia della tensione dal 1969 al 1974, dall’altro lato con gli indubbi sostegni dati al terrorismo di sinistra da parte di alcuni servizi dell’Est, e di alcuni gruppi palestinesi. Per di più sia la Cia sia il Kgb in Italia non hanno svolto un ruolo meramente spionistico, ma di tipo politico: basti pensare al sostegno finanziario dato dalla Cia alla Dc, ai partiti laici, ad alcuni sindacati e il suo via libera al centrosinistra e, a parte il sostegno finanziario al Pci, al ripetuto intervento del Kgb sulle vicende interne del Psi, alla indubbia presenza del Kgb e della Cia sul caso Moro, l’unico rapimento per il quale lo Stato italiano non ha trattato. Ma Moro aveva il grande torto di aver progettato una operazione politica che metteva in discussione i meccanismi di Yalta e che quindi era sgradita sia agli Usa che all’Urss. Di conseguenza, in Italia hanno convissuto gli opposti: momenti di avanzato riformismo, le lotte sindacali, forme straordinarie di contestazione studentesca ed operaie, la strategia della tensione e le stragi di mafi a. Per parte sua anche il Psi di Craxi ha giocato la sua partita in modo autonomo e al di fuori di Yalta, autonoma sia dalla Dc sia dal Pci, nell’Occidente ma nella tutela più rigorosa della sovranità nazionale. Nel 1989, Francesco Cossiga è stato l’unico leader politico a capire che la caduta del Mu[1]ro di Berlino e il crollo del comunismo in Europa avrebbero avuto forti conseguenze non solo sul Pci, ma anche sulla Dc, sul Psi e sui partiti laici. In[1]fatti, subito dopo, i grandi gruppi finanziari e industriali, non avendo più la preoccupazione del pericolo comunista, hanno di fatto “scaricato” la Dc, il Psi e i partiti laici e hanno scelto la via dell’antipolitica e dell’antipartitismo. Per di più i poteri forti non sopportavano che la Dc e il Psi fossero di fatto i proprietari delle industrie a partecipazione statale che da sempre sono state per loro un dito nell’occhio. Il circo mediatico giudiziario nasce da qui. Una volta iniziata la strage dei leader politici e dei partiti, quando risultò che il sogno di Borrelli era impraticabile (cioè che il Presidente della Repubblica incaricasse un nucleo di magistrati di guidare la transizione anche sul piano politico), ecco che questa delega fu offerta a un Pds che fosse giustizialista e neoliberista. I miglioristi del Pci e l’area non craxiana del Psi (Formica, Signorile, Manca, Capria, ma non Martelli che aveva scelto la linea “nuovista” di Occhetto e di La Malfa) a quel punto proposero che il superamento del comunismo fosse realizzato attraverso la formazione di un grande partito socialdemocratico e riformista. Forse solo l’unificazione socialista nel suo senso più pieno avrebbe potuto bloccare il disegno antipolitico dei poteri forti. Invece, in parziale continuità con l’ultimo Berlinguer - quello influenzato da Eugenio Scalfari, della questione morale, del PCI come “Partito diverso”, dell’alternativa a tutto e a tutti, del social fascismo di Craxi - il nuovo gruppo dirigente del Pds (Occhetto, D’Alema, Veltroni ) scelse di aderire all’ipotesi nuovista, di sostenere e quindi di essere sostenuto dal circo mediatico giudiziario, di sostituire e non di unirsi al Psi, e quindi di puntare sulla sua distruzione. Mani Pulite nella sua realizzazione deriva da qui e, visto che il suo punto di attacco era costituito dal finanziamento irregolare, essa fu gestita in modo del tutto mistificato e unilaterale perché tutti i partiti e correnti di partito si sostenevano con molteplici forme di finanziamento irregolare, ma il ristretto gruppo dirigente del Pds e quello della sinistra democristiana potevano non sapere, mentre Craxi e i dirigenti dell’area di centrodestra della DC non potevano non sapere. Mani pulite fu segnata da questa profonda unilateralità e da una serie di irregolarità, dall’uso del carcere per ottenere confessioni, dall’esplicita richiesta, per evitare il carcere, agli imprenditori di parlare delle tangenti date ad alcuni ben precisi uomini politici, mentre altri venivano esclusi a priori, come ha testimoniato tutta la vicenda della valigetta con dentro un miliardo portata da Gardini in via delle Botteghe Oscure quando doveva incontrare i massimi dirigenti del Pds. Infine, il gip di Milano Guido Salvini ha illustrato il “trucco” a cui ricorse il pool di Mani Pulite per concentrare in un solo faldone e in un solo gip tutti i processi riguardanti Mani Pulite. In sostanza, l’Italia è stata l’unico Paese europeo nel quale ben cinque partiti da sempre presenti in Parlamento sono stati rasi al suolo non dagli elettori, ma da un attacco giudiziario e mediatico mirati. Tutto ciò si è tradotto in una distruzione di classi dirigenti, di partiti, di culture politiche, di competenza. Il deterioramento si è già visto nel corso degli anni Novanta. Il gruppo dirigente del Pds credeva in questo modo di poter acquisire il potere politico, avendo concesso l’intera gestione del potere economico ai cosiddetti poteri forti. L’Italia però non è facilmente riconducibile a operazioni di vertice così dure e unilaterali. Il Pds distrusse Craxi e Forlani e si ritrovò davanti Berlusconi alla guida di tutta una area di centrodestra assai aggressiva. Di conseguenza la dialettica della seconda Repubblica si è fondata su una versione troglodita della alternanza, ben diversa, anzi sotto molti aspetti di segno opposto rispetto a quella di stampo europeo, fra un partito socialdemocratico e un partito conservatore. La dialettica della seconda Repubblica si è fondata su uno scontro frontale fra una coalizione berlusconiana e quella anti berlusconiana che aveva come punta di diamante alcune procure. I governi di centrosinistra e quelli di centrodestra sono stati di basso livello sia sul piano della gestione sia su quello delle riforme. Così, quando sono esplose a livello internazionale ben due crisi finanziarie, tutto è saltato per aria. Nel 2011 Berlusconi si è dovuto dimettere, Napolitano non si fi dò di Bersani e del Pd che avrebbero certamente vinto le elezioni e diede a Monti il mandato di fare un governo di lacrime e sangue per evitare il collasso finanziario. Non si poteva fare a meno delle lacrime né del sangue, ma Monti ci mise anche del suo sul terreno del sadismo sociale. Sommando assieme tutto ciò, il risultato fu la prima esplosione dei grillini alle elezioni del 2013 (25 per cento). Ma le cose non si fermarono qui. Fu realizzato un faticoso compromesso fra il Pd e il Pdl- Forza Italia sul governo Letta, ma a quel punto la magistratura tirò un altro siluro e costruì un processo speciale contro Berlusconi che “finalmente” fu condannato e poi anche estromesso dal Senato. Ci sarebbero voluti dei nervi d’acciaio per resistere, ma Berlusconi reagì rompendo quella coalizione. Paradossalmente egli fu salvato da una batosta elettorale proprio dalla secessione di Alfano e dei suoi amici. Comunque tutte le convulsioni successive fino alla esiziale rottura del patto del Nazareno hanno portato alla definitiva vittoria del M5s che alle elezioni del 2018 è arrivato al 32 per cento. Se non che i grillini erano così privi di un qualunque progetto politico che a quel punto il loro unico scopo è stato quello dell’autoconservazione della consistenza del loro gruppo parlamentare, per cui fra il 2018 e il 2019 hanno dato vita a due governi di opposto segno, uno di destra e uno di centrosinistra che però è arrivato rapidamente ad una situazione di impasse sia sul terreno della gestione della pandemia sia su quello dell’uso delle risorse economiche provenienti dall’Europa. A quel punto, in una situazione di totale stallo, grazie a Renzi, si è passati dal male al meglio, cioè a un governo Draghi di salute pubblica che surroga la profonda crisi politica e culturale che caratterizza tanto il centrodestra quanto il centrosinistra in presenza di una devastante pandemia e di grandi difficoltà economiche. Tutto ciò però è anche determinato dal fatto che a suo tempo la linea del Pds prima e del Pd dopo ha creato a sinistra una sorta di deserto dei Tartari con la distruzione dei socialisti e di tutte le forze laiche. Così il Pd si è trovato da un lato il M5S e dall’altro lato una vasta e aggressiva area di destra centro con il ridimensionamento di Berlusconi e l’enfatizzazione delle due forze sovraniste e populiste della Lega e di Fratelli d’Italia. Quando si è visto che il governo Conte2 era in un totale impasse, malgrado che una parte del Pd avesse proclamato “Conte o voto” e avesse consentito a Conte di fare del Senato una sorta di Suk, l’iniziativa politica di Renzi ha consentito a Mattarella di spostare in avanti tutta la situazione con un governo presieduto da Draghi e costituito da tutte le maggiori forze politiche. Ora Draghi non è un “personaggio qualunque” come crede Nadia Urbinati. In primo luogo sul terreno dei suoi orientamenti politici personali, Draghi è un riformista, un europeista, un uomo dell’Occidente il cui orientamento culturale è di stampo liberalsocialista. In secondo luogo Draghi ha una grande autorità in Europa perché non ha seguito la linea del rigore e dell’austerity sostenuta dalla Bundesbank, ma nel 2012 l’ha addirittura rovesciata salvando sia l’euro sia l’Europa. Un personaggio di questo spessore è stato scelto da Mattarella come Presidente del Consiglio. Ora, tutte le cose funzionavano fi no a quando c’era Mattarella alla Presidenza della Repubblica e Draghi Presidente del Consiglio. Le cose cambiano molto se il primo si ritira davvero. Forse specialmente il centrodestra non ha capito alcuni aspetti della situazione. Se Salvini e Meloni pensano di tenere adesso Draghi fi no al 2023 eleggendo come Presidente della Repubblica una personalità rispettabile ma non di straordinaria caratura e poi di vincere le elezioni giocando a scassaquindici fra di loro su chi diventa Presidente del Consiglio, non hanno capito alcune cose. In questi anni entrambi, sia sulla pandemia sia sull’euro, hanno combinato molteplici pasticci (no euro, no al green pass, sì e no ai vaccini, civetterie coi no vax etc etc), orbene, dopo elezioni eventualmente vinte dal centrodestra, senza la garanzia offerta da Draghi alla Presidenza della Repubblica, Salvini e Meloni rischiano di venirsi a trovare (e con loro l’Italia) in una situazione assai difficile. Sia l’Unione europea sia specialmente gli investitori internazionali non si riterrebbero affatto garantiti da presidenti del consiglio di destra, che per di più in tutti questi anni hanno civettato con Le Pen, Orban e hanno firmato addirittura un documento con i 16 partiti sovranisti, senza neanche la copertura offerta da una Presidenza della Repubblica forte, caratterizzata da un europeismo a prova di bomba e tecnicamente agguerrita. Il tutto con la pandemia e con un quadro economico che presenta sempre una serie di problemi: bassa crescita, bassa produttività, alto debito e alta inflazione. Anche alla luce dei fuochi di artificio che hanno caratterizzato la sia pur cautissima disponibilità di Draghi alla Presidenza della Repubblica, abbiamo l’impressione che molti in Italia giochino col fuoco.”


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