“I giusti della guerra? Gli ucraini che resistono e i russi che si ribellano”
Erri De Luca, quale è stata la sua prima reazione quando è scoppiata la guerra?
Per me la guerra scoppia, quando l’Ucraina viene invasa. Il conflitto nel Dombass, che dura ormai da anni, era ancora interno al blocco dell’ex Unione Sovietica. Quello che avviene all’alba del 24 febbraio 2022 segna, invece, il ritorno della guerra in Europa in grande stile e rappresenta il più grande evento bellico, dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Si è discusso molto della decisione di inviare armi a sostegno della resistenza ucraina. Fausto Bertinotti, ad esempio, sostiene che contro la guerra si deve impugnare solo la pace. Lei da che parte sta?
Io non credo che sia così. Io penso che non solo l’invio delle armi, ma anche il sostegno di tutta l’Europa, con le apertura delle frontiere, l’accoglienza dei profughi, il pronto soccorso e le sanzioni, che sono durissime perché colpiscono anche le nostre economie, servano a prolungare la resistenza ucraina e a far pagare il più caro possibile l’invasione all’invasore. Attendere che il più forte e il più prepotente vinca non coincide con nessuna tregua e con nessuna pace. Il popolo ucraino ha dimostrato di essere pronto persino al più estremo dei sacrifici e, quindi, anche se dovesse cadere la capitale, quella guerra, sotto altre forme, continuerà. Una guerra che seguita a coinvolgere civili inermi. Se non si inviassero armi, non ci sarebbe, quindi, nessun risparmio di vite umane.
Si è chiesto che cosa aveva in testa Vladimir Putin, quando ha deciso di invadere l’Ucraina?
Una volta le chiamavamo fughe in avanti. E’ un insieme di calcoli sbagliati in partenza, che non si riescono a correggere strada facendo e che non si possono più considerare retraibili. Si va, dunque, avanti a oltranza, ma Putin è sempre più isolato e, per di più, è diventato una persona pubblica impresentabile al mondo e lo rimarrà, comunque finisca la guerra. Bisogna, quindi, immaginare una sua sostituzione.
Fra le conseguenze di questa guerra tragica e assurda, c’è anche quella di aver dato il là a una sorta di caccia al russo. Vedo, ad esempio, atleti, compresi quelli che gareggiano individualmente come i tennisti, costretti a cancellare le bandiere e ogni altro simbolo della loro identità. Non dovremmo, invece, sottolineare la distanza abissale che oggi separa Putin dal popolo russo?
Noi dobbiamo sottolineare l’eroismo dei russi che si ribellano alla guerra. I russi non coincidono con la fuga in avanti di Putin. I russi sono quelli che si sono fatti arrestare a migliaia nelle strade, mettendo in conto il rischio di gravissime conseguenze penali. I russi non possono, quindi, essere associati a quella che è, a tutti gli effetti, un’impresa criminale. Quanto agli atleti, che mettono in campo qualità e talenti individuali, devono reagire. Poi, è evidente che ciascuno reagisce come meglio crede. Il tennista Andrej Rublev ha condannato apertamente la guerra. Qualcun altro non se l’è sentita di farlo in modo altrettanto netto. Sono tutti, però, lo vogliano o no, rappresentanti di uno Stato che ha dichiarato guerra a un altro Stato
di Antonello Sette
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