“Trattativa Stato-Mafia. Perseguitati e umiliati da Pm strumento di una vendetta mafiosa”
Cicchitto, prima Contrada, ora Mori, Subranni e De Donno. Fedeli servitori dello Stato infangati dalla giustizia e sottoposti a un calvario, inenarrabile come mi ha detto Contrada, perché accusati da quella mafia che avevano combattuto arrivando a catturarne, come nel caso di Mori, il capo supremo Totò Riina…
Parto da un dato paradossale. Si è riusciti a imbastire una serie di processi e tutta una vicenda intorno a una cosa che, se andiamo a vederla bene, è imbarazzante per quanto è elementare. Il Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri fa quello di mestiere. Non interloquisce né con intellettuali raffinati né con sacerdoti devoti. Il Ros si muove in un’area grigia o, come in questo caso, putrida, quale era quella che circondava Ciancimino padre. Le ricordo che ogni capocorrente della Dc siciliana, pur non essendo mafioso, aveva, però, con la mafia rapporti di ascolto e di condizionamento. Tutto questo è filato, più o meno liscio, fino all’avvento dei corleonesi, che hanno fatto una sorta di operazione militare dentro la mafia. E’ stato assassinato Stefano Bontade, che era il capo della mafia per così dire normale. Sono stati assassinati gli Inzerillo. Ci sono stati centinaia e centinaia di morti. In una situazione di quel tipo, i Ros hanno interpellato un personaggio, che era in modo inquietante atipico. Ciancimino era prima un mafioso corleonese e dopo un democristiano andreottiano. Sono andati a trovarlo innanzi tutto per avere il polso della situazione e poi per vedere se quello poteva essere un canale da sfruttare e qui c’è stato, forse, un tentativo di trattativa per arrivare, tramite Ciancimino, ad arrestare i capi, come poi è avvenuto, assicurandogli un trattamento meno duro di quello che avrebbe dovuto subire, essendo stato identificato e anche una copertura rispetto a Riina e alla mafia corleonese, che parlando avrebbe tradito.
Poi che cosa accadde?
Da questo punto di partenza siamo arrivat, grazie a questi magistrati e al figlio di Riina, che ha interpretato il ruolo di vendicatore della mafia corleonese, a rovesciare completamente le cose. I Ros sarebbero andati da Ciancimino per aprire una trattativa, a fronte di una fantomatica minaccia della mafia nei confronti dei Governi e dei poteri dello Stato. Un surreale ribaltamento della realtà. I Ros erano andati fare una cosa che riferirono poi alla Procura e a Caselli, che fino alla costruzione dell’altra verità consideravano quello dei Ros un comportamento normale, anche se non avevano raggiunto tutti i risultati sperati. E’ stato rigirato in modo perverso quello che di banale era avvenuto, facendo diventare quei dirigenti dei Ros i protagonisti di una trattativa, mentre, invece, erano stati solo i protagonisti di un’indagine. La trattativa, casomai, l’avevano fatta con Ciancimino, ma per intercettare e catturare Totò Riina. Un rovesciamento totale della realtà, con il figlio di Ciancimino che ha strumentalizzato pubblici ministeri fanatici fino al punto di assimilarlo addirittura a un’icona dell’antimafia, per colpire chi aveva arrestato Totò Riina. In questo senso, Ciancimino figlio è stato lo strumento di una vendetta della mafia, di cui questi Pm si sono resi responsabili. Va detta anche un’altra cosa…
Una cosa che riguarda il contesto mutato per lo scorrere del tempo?
Sì, perché questo secondo processo è paradossalmente arrivato, quando non aveva comunque più senso. L’eventuale trattativa presupponeva tre soggetti, che erano la mafia, i Ros e le autorità politiche e di governo, a cui i Ros avrebbero dovuto riferirne l’andamento. Si era, però, nel frattempo visto che il ministro della Giustizia Giovanni Conso era una persona al di sopra di ogni sospetto e che casomai aveva rimesso in discussione quei contestati trecento soggetti al 41 bis non di sua iniziativa, ma su richiesta della Consulta. La Corte Costituzionale riteneva infatti che il regime del 41 bis non potesse essere rinnovato automaticamente, ma dovesse essere riesaminato, di volta in volta. Era, peraltro, anche emerso che, di quei trecento soggetti al 41 bis, solo diciotto erano mafiosi, per di più di basso livello e che sette di questi diciotto erano stati successivamente riarrestati. Conso, quindi, va escluso dal gioco. Nicola Mancino è stato messo fuori dal gioco dalla magistratura così come, dopo un calvario lungo trent’anni di assoluzioni e di ricorsi, Calogero Mannino. Alla fine della fiera, questa trattativa non aveva più il terzo indispensabile soggetto.
Anche Silvio Berlusconi non lo era più?
Il decreto Biondi aveva evidentemente un altro scopo, legato a Tangentopoli. Successivamente Berlusconi non ha fatto assolutamente nulla di minimamente accomodante. Ha, anzi, reso più duri sia il 41 bis sia il 416 bis. Non c’è mai stata materia da imputare neppure a Berlusconi. Marcello Dell’Utri non è stato, peraltro, chiamato in causa dai mafiosi, ma direttamente puntato dai Pm, che speravamo di arrivare attraverso di lui a Berlusconi. E non finisce qui…
Sempre per quanto riguarda Dell’Utri?
Sì, perché la sua precedente condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, un’intitolazione che è anche questa tutto un programma, era riferita alla fase precedente della mafia, quella conclusasi con l’assassinio di Bontade e degli Inzerillo. Non stiamo scherzando. Stiamo parlando di vicende, in cui sono morte centinaia di persone. E, quindi, dato e non concesso che Dell’Utri avesse un rapporto con la mafia che abbiamo chiamato normale, non sarebbe mai potuto passare dalla parte di chi aveva ammazzato i suoi presunti riferimenti precedenti.
Della trattativa fra lo Stato e la Mafia in tanti si sono riempiti la bocca e hanno riempito le pagine dei giornali…
La trattativa Stato-Mafia ha avuto una formidabile spinta mediatica. Nelle realtà, da una parte la mafia ha ucciso finché ha potuto senza guardare in faccia nessuno, anzi alzando il tiro. Dall’altra lo Stato, quando ha potuto, i mafiosi ha continuato a arrestarli. In questa sbandierata trattativa fasi di addolcimento non ci sono state, né da una parte né dall’altra. Per dare il senso della follia, che ha dominato questa vicenda, in una delle ricostruzioni è emerso che proprio nella fase cruciale, in cui si sarebbe svolta la cosiddetta trattativa, la mafia avrebbe progettato un attentato allo Stadio Olimpico di Roma. Una strage con tanto di esplosivi, che sarebbe costata la vita a un numero di carabinieri compreso fra cinquanta a cento. Nella follia, non si capisce se cinica o inconsapevole, dei Travaglio e dei connessi pubblici ministeri, si è sostenuto che anche questo attentato stragista fosse funzionale alla trattativa. Mi dica lei chi può ragionevolmente pensare che, dopo l’uccisione di cinquanta o cento carabinieri, ci potesse essere un qualunque Governo e un qualunque ministro di Grazia e Giustizia, disposti a proporre un addolcimento del 41 bis. Sarebbe venuto giù il finimondo e ci sarebbe stata una sollevazione popolare. Ci siamo trovati di fronte alla sommatoria di una serie di cose, che non stavano né in cielo né in terra. Dalla riconversione, smontata dal giurista Giovanni Fiantaca, in attentato ai Corpi dello Stato, per girare le carte in tavola, visto che la trattativa non c’era, a una forzatura interpretativa che si è tradotta in una cosa molto semplice. Questi pubblici ministeri sono stati soggettivamente o oggettivamente lo strumento di una vendetta postuma della mafia nei confronti dei Ros che avevano catturato il capo Totò Riina. Il paradosso italiano è incredibile. Di magistrati e anche di poliziotti e di carabinieri collusi e corrotti ce ne sono stati presumibilmente parecchi. Ebbene, quelli che noi abbiamo torturato per tanti anni sono gli stessi che hanno arrestato Totò Riina. Un paradosso, che ci dà anche l’indice della pericolosità dei soggetti mediatici che, da Report ad Atlantide, hanno pompato tutta la vicenda. Credo che in questa ultima fase ci sia stato anche il tentativo di influenzare i giudici popolari. Aggiungo che, dal momento che non tutte le ciambelle riescono con il buco, in una delle lunghissime trasmissioni di Purgatori alcune dichiarazioni hanno messo in discussione il quadro prefigurato. Da una parte Fiammetta Borsellino, diversamente dallo zio e da come veniva sollecitata nel corso della trasmissione, non ha attaccato i Ros. Dall’altro, Antonio Di Pietro ha rivelato due accadimenti. Ha detto che andarono da lui prima Borsellino e poi il capitato De Donno, uno dei funzionari del Ros tenuti per più di dieci anni sulla graticola e condannati, prima di essere prosciolti ieri dalla Corte di Assise d’appello di Palermo. De Donno disse a Di Pietro che non riuscivano a venire a capo delle interferenze della mafia sugli appalti, con la Procura di Palermo che aveva allora come capo Pietro Giammanco, e gli chiese espressamente di dar loro una mano. Altro che trattativa! Altro che collusione! Erano in prima linea nella lotta contro la spirale perversa della mafia. Nessuno di questi signori si è invece mai occupato della deviazione più incredibile che c’è mai stata, quella che ha stravolto il processo Borsellino. Un processo che non è stato certamente deviato dai dirigenti del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, condannati e messi alla gogna, prima di vedere riconosciuta, fuori tempo massimo, la propria innocenza.
di Antonello Sette
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