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KOSOVO, TATJANA GARCEVIC: "NON METTERE IN DISCUSSIONE PROCESSO INTEGRAZIONE EUROPEA DI BELGRADO"


"La Serbia continua a lavorare con dedizione sul suo percorso di integrazione europea e a collaborare con le istituzioni e i Paesi membri dell'Ue, tra cui l'Italia ricopre un ruolo importante. Pertanto, ritengo che il processo di integrazione europea della Serbia non andrebbe messo in discussione". Lo chiarisce Tatjana Garcevic, incaricata d'affari serba ad interim a Roma, secondo la quale “sia l'Unione europea che il resto della comunità internazionale hanno riconosciuto l'approccio "costruttivo" di Belgrado nel dialogo con le autorità kosovare in corso sotto l'egida dell'Ue e nell'ambito del capitolo 35 del Negoziato di Adesione”.


"La responsabilità per le ultime tensioni avvenute in Kosovo e Metohija (KeM) è imputabile unicamente all'amministrazione di Pristina, cosa chiara a tutti, e confermata anche dalle reazioni dei rappresentanti delle autorità internazionali, compreso il Dipartimento di Stato americano, il quale ha condannato le decisioni di Pristina per aver aumentato le tensioni", prosegue Tatjana, spiegando che Belgrado ha informato la Svezia, attuale presidente di turno del Consiglio dell'Ue, degli ultimi avvenimenti e del contesto che ha provocato gli scontri.


"Abbiamo ricordato che si tratta di elezioni amministrative a cui ha partecipato il 3,5% di popolazione e che pertanto non sono legittime. Abbiamo fatto presente che, con l'aiuto delle forze speciali di Pristina, si sono verificati gli ingressi forzati nei municipi a maggioranza serba e che si è ricorso ad un eccessivo uso della forza, perfino delle armi da fuoco da parte delle loro forze speciali”.


“Da mesi il governo della Serbia sta richiamando l'attenzione sui rischi legati alle azioni "unilaterali" di Pristina, e precisamente riguardo al fatto che il primo ministro kosovaro, Albin Kurti, "sta cercando di provocare gli scontri tra i serbi e la Nato nonché di innalzare ulteriormente le tensioni".


"Il presidente e il governo della Repubblica di Serbia hanno invitato i serbi del KeM a non cedere alle provocazioni della cosiddetta polizia kosovara, a protestare ed esprimere il loro disappunto in maniera pacifica, come del resto lo fanno da anni, e fare di tutto perché la situazione si possa calmare", spiega Garcevic, chiedendo l' "urgente" ritiro dai municipi al nord della Provincia dei "sindaci fantocci e delle cosiddette forze speciali di polizia di Pristina".

"Da parte sua, la Serbia farà di tutto per preservare la pace e proseguire il dialogo sotto l'egida dell'Ue, insistendo sulla costituzione dell'Unione delle municipalità serbe, ai sensi dell'Accordo di Bruxelles del 2013. Nello stesso tempo, non possiamo permettere nuove persecuzioni del popolo serbo in KeM".


Garcevic precisa quindi che i serbi in Kosovo sono "ininterrottamente da anni esposti a persecuzioni, minacce e provocazioni. Stiamo parlando di maltrattamenti quotidiani, omicidi, aggressioni fisiche e attacchi alla proprietà privata, limitazioni alla libertà di circolazione e privazioni dei fondamentali diritti umani e politici. Anche la Chiesa ortodossa serba in KeM è sottoposta a vergognosi attacchi, il suo clero, i monasteri, le chiese e i cimiteri ortodossi sono oggetto delle profanazioni e manifestazioni violenti".


"Noi di continuo rendiamo noti questi atti incivili di Pristina, facendo appello alla pubblica opinione europea e internazionale di farla ragionare", conclude, evidenziando come la presenza delle forze della missione Nato in Kosovo rimanga "indispensabile per la tutela del popolo serbo e del suo patrimonio culturale e religioso. In modo particolare è significativa la presenza italiana nell'ambito della Kfor. Già da 24 anni i militari italiani proteggono il monastero ortodosso Visoki Decani e i suoi monaci. La loro importanza è testimoniata, in modo esplicito, dagli stessi monaci che fanno presente che altrimenti la loro sopravvivenza non sarebbe possibile. Gli ultimi incidenti, nei quali sono stati feriti i cittadini serbi e i membri della Kfor tra i quali anche i militari italiani, sono la conseguenza delle deplorevoli decisioni di Pristina".

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