La storica Alessandra Necci, vincitrice del Raperonzolo d’Argento 2021, in un’intervista a Spraynews, parla dell’importanza di trarre una lezione dal passato e di ricordare non solo le cose belle, ma anche quegli errori che hanno portato l’Italia fino all’attuale situazione. Solo in questo modo il Paese può uscire dallo stallo.
A suo parere perché ha ricevuto l’ambito riconoscimento?
«Quest’anno mi ha dato molte soddisfazioni, ho vinto il Comisso, sono stata finalista al Viareggio. Ritengo sia stato riconosciuto il lavoro che sto portando avanti da anni sul tema delle donne, che vanno raccontate e onorate con gli esempi, che servono più di tanti slogan generici. Non bisogna dimenticare la storia delle donne che ci hanno preceduto. Nell’ultima settimana, sulle colonne del Messaggero, ad esempio, ho parlato della vita di una delle prime suffragette. Il problema, infatti, è sempre la narrazione. Molte cose dipendono da come le racconti. Ecco perché cerco di far vedere tante sfaccettature del mondo femminile e di personalità che vivevano in un contesto molto più difficile di quello odierno. Solo coloro che avevano una grandissima forza potevano emergere».
Quanto la storia può aiutarci in questo momento difficile che sta vivendo l’umanità?
«La storia è piena di vicende drammatiche e difficili tra cui le pandemie. Basti pensare alla nota peste nera del Medioevo o a quella di Tucidide quando non c’erano i vaccini o una medicina avanzata come quella odierna. Nonostante ciò, c’è stata sempre stata la capacità di voltare pagina. Non ho mai creduto a chi diceva che dopo la pandemia tutti eravamo più bravi, più belli e via dicendo. Ho un’idea molto machiavellica dell’umanità. Bisogna scegliere se estrarre una lezione da quanto accaduto oppure continuare come se nulla fosse».
Si tratta, pertanto, di una lezione positiva…
«Non c’è dubbio. Il destino, come diceva prima Eraclito e poi Roosevelt, è nel carattere. Se si utilizzano le grandi difficoltà per un qualcosa di positivo ciò è utile, se invece si volta pagina e si dimentica quanto accaduto non serve a niente».
In un contesto come quello attuale, dove è emersa l’importanza della ricerca, del sapere, quanto è importante tornare alle competenze e allontanarsi dallo spettro della demagogia e del populismo?
«Il tema cruciale è sempre quello della meritocrazia. Venendo da una storia personale in cui il merito è stato l’elemento dirimente, lo posso confermare. Mio padre, pur venendo da una famiglia umile e da ferroviere, ha lanciato l’Alta Velocità e ne è diventato massimo esponente non solo a livello nazionale. La riscoperta del merito, pertanto, la ritengo indispensabile. Il talento da solo non basta. Il vero problema, però, è che il merito suscita molte invidie. Questo ha portato all’affossamento di personalità di spessore e di qualità».
Basta solo la riscoperta del merito per far riprendere il Paese?
«Un grande Paese deve fare i conti con la propria storia e onorare tutti coloro che hanno contribuito a farlo grande, ammettendo errori, abusi e ingiustizie, anche giudiziarie. Non basta parlare sempre del dopoguerra e del boom. Serve una riflessione seria anche sugli ultimi trent’anni. Solo così si può uscire dall’attuale fase di impasse».
E’ stato fatto abbastanza in tal senso?
«Negli ultimi anni si è fatto molto. Ritengo, comunque, che non si può restare bloccati. Quando si è fermi si resta indietro. L’Italia è piena di talenti straordinari da sempre. Pensiamo al dopoguerra, quando è stato fatto un lavoro enorme. C’è stata una classe dirigente, che senza alcuna esclusione di colore, ha dato un contributo enorme e c’era un popolo italiano che aveva voglia di ricostruire. Altrimenti non ci sarebbe stato il boom economico e non si sarebbe puntato sulle infrastrutture».
Cosa intende con questo termine?
«Non sono solo l’Alta Velocità o la strada, ma mi riferisco a quelle immateriali, alla cultura, alla scoperta della solidarietà, al merito. Ecco perché, l’Italia deve fare i conti con la propria storia. E’ un processo lungo, ma bisogna avere il coraggio di farlo, ricordando chi è stato artefice della grandezza di una nazione».
La storia italiana può aiutarci durante il Covid?
«La storia insegna se si vuole imparare, altrimenti non insegna. Possiamo imparare dal nostro passato, dal coraggio che abbiamo dimostrato nel dopoguerra, ma anche da quello che non abbiamo compreso dal Rinascimento. Non siamo riusciti, ad esempio, nel cinquecento a diventare un popolo unito. La storia ci insegna nel bene e nel male. Siamo noi che dobbiamo trarre una lezione. Solo così possiamo uscire più forti e consapevoli».
Oggi, però, si tende a leggere tutto senza badare al contesto storico…
«E’ un grave errore. Per capire ogni cosa, serve contestualizzarla. Ogni azione è diversa a seconda di quando avviene. Anche da un anno a un altro, come stiamo vedendo nella pandemia, ogni intervento assume un valore differente».
Quale consiglio di sentirebbe di dare all’attuale classe politica?
«E’ fondamentale che l’Italia torni a pensare in termini di progetto Paese. Non si esce da una crisi senza capacità di visione, progettualità, meritocrazia e memoria».
Di Edoardo Sirignano
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