Credo che il libro di PALAMARA abbia confermato ciò che molti politici sospettavano da anni e ciò che Fabrizio Cicchitto sosteneva da decenni, ovvero l’esistenza in un “uso politico della giustizia”, titolo poi di un suo fortunato libro del 2006. Il merito di PALAMARA sta nell’aver squarciato il velo di ipocrisia attorno alla magistratura e alle sue modalità di fare le nomine. Ma se chiarezza va fatta, si deve fare su ogni aspetto, senza infingimenti e senza speculazioni. E non è ammissibile pensare di usare il racconto di PALAMARA per impropri fini giuridiario-politici. Le pene non vanno scontate necessariamente in carcere, visto che più volte siamo stati richiamati dall’Europa sia per il sovraffollamento carcerario sia per la fatiscenza di troppe strutture di detenzione. Bisogna invece che la pena sia giusta e consenta il recupero del reo. Spaventano pertanto abbastanza i toni di alcune interviste di membri del centrodestra molto indaffarati sul terreno della giustizia ad appropriarsi di un racconto non loro. La magistratura non deve subire gli influssi della politica ma soprattutto la politica non deve farsi orientare dalla magistratura in una gara al giustizialismo più bieco. Si faccia piena luce piuttosto attraverso una commissione parlamentare di inchiesta su quello che è successo nelle nomine e nei processi degli ultimi 20 anni, anche per capire influssi di eventuali lobby e logge su condanne e assoluzioni
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