Luca Palamara intervistato da Antonio Amorosi per Affari Italiani:
Credere nella giustizia? Dubbi, correnti, corporativismo, Cossiga, magistratura che cambia il corso della storia. Dopo il libro Palamara a 360 gradi, rivela...
A fronte di quanto successo e di quanto si legge, riga per riga, nel suo libro con Alessandro Sallusti, la frase che c’è nei tribunali ‘La legge è uguale per tutti’ è ancora vera?
L’auspicio del libro è che la legge sia uguale per tutti. Il motivo per il quale si entra in magistratura è quello. Lo rivendico orgogliosamente ed è quello che mi ha ispirato e mi ispirerà sempre.
Lei dice che oggi ‘racconta’ perché lo deve ai tanti magistrati che non c’entrano con il sistema che descrive nel libro. Perché, dopo tutto quello che è successo, le dobbiamo credere e pensare che le sue parole siano sincere? Perché l’idea e l’immagine che il sistema delle correnti potesse identificarsi solo con una persona è un’immagine che penso non convinca più nessun magistrato. Non convince i tanti magistrati che nell’immediatezza dei fatti fecero circolare una lettera aperta a Palamara, sulle mailing list, chiedendo di spiegare quello che era accaduto. Ed è quello che ho fatto. Non c’è un prima e un dopo. C’è la volontà di fare una riflessione sul sistema che comprende anche me. Ma non può ‘comprendere solo me.
Lei racconta nel libro, ma lo abbiamo anche capito in parte dalle sue intercettazioni, dei casi De Magistris, Salvini, Gratteri, Mastella, Forleo, Berlusconi, cioè di quando la magistratura, in qualche modo, fa politica nel Paese. Non fa più paura della politica che esercitano i politici? La magistratura ha più strumenti della politica, incidendo sulle libertà e sulle proprietà, sulle vite delle persone e può distruggerle. E la magistratura ha cambiato il corso della storia? La magistratura vive nella storia, vive nel rapporto con le altre istituzioni. Il problema dei rapporti tra magistratura e politica esiste, tanto è vero che nel 1948 i costituenti previdero l’autorizzazione a procedere nell’articolo 68, creando una linea di confine.
E’ stata superata questa linea di confine? E’ stata abbattuta nel 1993 quando il parlamento, dopo i noti fatti che riguardarono l’onorevole Craxi, la toglie. Da quel momento c’è un’inevitabile sconfinamento, al di là della legittimità delle inchieste. La politica si sente scoperta quando c’è un doveroso accertamento della magistratura. E’ ovvio che la magistratura deve indagare nei confronti di tutti, nessuno escluso. Ma si determina uno sconfinamento che oggi rimane limitato solo esclusivamente a quando c’è una richiesta di misura cautelare. In quel caso torna la palla in mano alla politica ma non essendoci invece per la richiesta di rinvio a giudizio quell’elemento non è più rimasto nelle mani della politica e viene strumentalizzato all’esterno. Questo è il cortocircuito. Il politico deve pensare che il problema c’è e va risolto.
Quando il cittadino sente queste cose e le trasla su sé stesso che deve pensare? Cioè se al corpo più potente del Paese accade questo a me che può succedere? “Il cittadino comune deve avere fiducia nella giustizia. Ci sono tanti magistrati che a questi meccanismi sono totalmente estranei, non partecipano alla cosiddetta organizzazione del potere che è limitata solo ad una cerchia ben individuabile di persone: coloro i quali procedono con le nomine, non uno solo ma i rappresentati di più gruppi. Ogni corrente ha un rappresentante, ogni corrente cerca di piazzare il proprio uomo nell’ufficio più importante, ogni corrente cerca di aumentare il consenso all’interno della magistratura. I problemi che hanno riguardato la mia persona si inserivano in questo contesto.
Quindi ad un cittadino che è in causa con un magistrato cosa consiglia? Oltre a farsi il segno della croce, visto lo spirito corporativo che incombe e difende i colleghi. Cosa deve fare? Avere un grande e potente avvocato? Avere molti soldi per le cause? Sperare in chi è slegato da queste logiche corporative? Ma come è possibile avere questa speranza se poi il potere all’interno della magistratura, anche nelle nomine del magistrato locale, funziona come lo descrive lei? Al cittadino dobbiamo ricordare sempre che c’è un articolo fondamentale che dice che il giudice è soggetto soltanto alla legge e quindi il magistrato deve ispirarsi soltanto a quei principi ed esistono i mezzi di impugnazione. Il consiglio è di avere fiducia e ricorrere a tutti gli strumenti processuali che l’ordinamento gli mette a disposizione, nessun escluso. Il tema però di cui parlo io è legato all’organizzazione interna della magistratura, su come ha voluto dare attuazione all’autonomia e indipendenza sancita dalla Costituzione.
Come si fa quando il magistrato può essere guidato da suoi interessi personali e nessuno può fare nulla? Le faccio un esempio spicciolo: un magistrato coinvolto, nella questione che sta dirimendo, perché legato affettivamente alla compagna dell'indagato e lo perseguita, come è possibile avere fiducia? Queste sono situazioni che il Consiglio Superiore, teoricamente la Procura generale… mi lasci dire... invece di preoccuparsi solo delle mia chat... dovrebbero preoccuparsi anche di cose del genere.
Ha dedicato molti anni a mediare tra le correnti della magistratura, dedicherà ora il suo tempo a demolire e raccontare questo mondo che i più non conoscono? Più che demolire a contribuire ad un’opera di reale rinnovamento della magistratura, quella che tanti magistrati mi chiedono.
La disaffezione per la politica ha prodotto l’antipolitica, il caso Palamara e le sue critiche a cosa possono portare? Ci può essere una deriva o no? Mi auguro che la magistratura sappia riscattarsi e che al di là della mia vicenda personale possa portare innanzitutto a squarciare il velo dell’ipocrisia interna.
Cresce nel Paese un sentimento di sfiducia nei confronti delle istituzioni, ora anche della giustizia. E’ un sentimento molto pericoloso. La magistratura ha in sé la capacità di riformarsi nel sentimento di vicinanza con il cittadino, con quel senso comune di giustizia? E come? “Ci sono tanti magistrati che preferiscono stare più riparati e tranquilli. Ma le assicuro che esistono tanti magistrati che hanno questi sentimenti”.
Lei ha detto: La magistratura è una casta che alimenta il sistema di cui facevo parte. La magistratura come può uscire da sola da questa situazione? No, no, diciamolo meglio. Esiste un problema giustizia, è evidente. Nel 1987, su iniziativa dei Radicali ci fu un referendum. L’80% degli italiani si espresse a favore della responsabilità civile dei magistrati e quindi contro i magistrati. Nel 1996 il ministro Flick volle introdurre le pagelle e i magistrati dissero ‘no, non vogliamo farci controllare’. Questi erano segnali che forse noi non abbiamo saputo raccogliere. Perché è prevalsa l’idea dell’autoprotezione della casta. Qualcosa poi non ha funzionato, nei casi De Magistris, il caso Forleo, anche il libro che sta andando così forte dimostra che c’è volontà di capire, di sapere e che la vicenda non può essere ridotta a una persona, una serata, eccetera. Se ci sono 50 magistrati che si muovono in un certo modo non è una cosa da niente, sono 50 magistrati e come funziona questo sistema andava spiegato bene e non è stato fatto....
Anche da quello che scrive, se non lo sapevamo prima, i magistrati non sono dèi ma uomini ed hanno i pregi e i difetti degli uomini... Assolutamente si.
Ora la questione é: il primato della giustizia può venire prima delle piccolezze, del credo, dell’interesse, dell’ideologia dell’uomo magistrato? Questo dubbio si solleva in tutte le vicende raccontate... Però la giustizia è un bene talmente supremo e fondamentale in uno Stato democratico che deve venire prima di ogni cosa, di ogni singola vicenda personale, deve vincere la giustizia.
Lei si ritrova adesso, ora si è anche iscritto al partito Radicale, in modo diverso e con un altro tipo di storia dalla stessa parte della barricata di personaggi enormi come Sciascia, Cossiga, Tortora con quel clamoroso errore giudiziario che lo riguardava e che poi originò il referendum che citava. Non le sembra tardi? Perché è questa la critica che le viene fatta... Lo so ma io facevo e ancora adesso faccio il magistrato. Io le critiche le accetto volentieri ma se dovevo parlare prima, prima quando? Io sto parlando... sono ancora dentro la magistratura. Ancora non me ne sono andato.
Intendo prima della sua vicenda personale, prima delle inchieste che la riguardano... Chi mi ha frequentato e mi conosce sa quali sono le mie idee dentro la magistratura. Pubblicamente è chiaro: avevo un ruolo di rappresentanza politica ed ho difeso l’Anm contro Berlusconi, ad esempio. Nemmeno nel libro lo rinnego perché doveva prevalere l’idea dell’autoprotezione. Dal Csm ho partecipato al meccanismo correntizio che purtroppo caratterizza quel mondo. Lei potrebbe chiedermi ‘nella magistratura come va?
Infatti ci si chiede, visto che la magistratura resta organizzata in correnti. Chi è oggi nel ruolo che assolveva lei? O con che cosa è stato sostituito per fare quelle mediazioni che lei faceva? ...come va? Tutto bene, grazie, va come prima. Visto che Affaritaliani può vivisezionare quello che dico andatevi a leggere l’ultima sentenza del Consiglio di Stato sulla Scuola superiore della Magistratura, lì c’è tutto. La sentenza è assolutamente emblematica sulla perpetuazione della spartizione.
Cossiga, uomo di legge e che aveva senso dello Stato, in un frangente particolare la offese e disse che l’Anm era un’associazione tra il sovversivo e il mafioso, un’espressione tremenda ed esagerata a cui però non vi furono seguiti legali, ma sentirla in bocca a un ex capo dello Stato faceva una certa impressione... Ecco, cosa pensa oggi di quella frase? Furono parole ovviamente che mi colpirono sia sul piano personale anche per la forza e l’invettiva delle parole stesse, però è chiaro che l’Anm, come tutte le corporazioni intermedie, ha sofferto e soffre di una grave crisi di identità e soprattutto di un’attualità, basti pensare alla mia espulsione: su 10.000 magistrati ne erano presenti 100. E’ chiaro che qualcosa non funziona più.
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