Fabrizio Cicchitto, parlamentare di lungo corso e presidente di Riformismo e Libertà, sottolinea come Silvio Berlusconi, nel ritirarsi, avrebbe sbagliato a non dare una chiara indicazione, scegliendo uno tra Draghi, Casini e Letta.
Chi sarà il successore di Mattarella?
«E’ difficile da prevedere. Il punto è che Berlusconi ha commesso un grave errore».
Quale?
«Non mi riferisco alla presentazione della candidatura. Gli attacchi di Travaglio e di un pezzo del Partito Democratico sulla sua impresentabilità sono del tutto inaccettabili. Berlusconi, in via di principio, poteva presentarsi benissimo, mentre in via di fatto non c’era la situazione politica che gli desse spazio».
Perché?
«In primis, non aveva le spalle coperte perché Salvini, Meloni e Brugnaro non gli assicuravano i 450 voti. Non c’era, poi, un gruppo parlamentare esterno al centrodestra che lo sostenesse. L’operazione scoiattolo fatta sui singoli parlamentari è stata pittoresca, ma impraticabile, visto l’inattendibilità dei soggetti verso cui si rivolgeva».
Cosa doveva fare, quindi, il Cavaliere?
«Chiudendo la partita personale con il suo ritiro, poteva incidere sulla situazione dando un’indicazione. Non solo quella negativa su Draghi, ma invece scegliendo tra tre nomi non divisivi, ma in grado di scogliere i nodi attuali».
Quali sono questi nomi?
«Uno è Draghi, gli altri sono Gianni Letta e Pierferdinando Casini. In questo modo, si sarebbe fatto un passo in avanti rispetto alla situazione attuale. Non essendoci stata questa situazione, è tutto bloccato perché Salvini ha detto a sua volta no sia a Draghi che a Casini, che secondo lui non apparterebbe al centrodestra. Salvini però sbaglia a pensare che possa esserci uno della sua coalizione in grado di raccogliere più voti di Berlusconi. Mi sembra un’ipotesi del tutto irrealistica».
Stesso discorso vale per il centrosinistra?
«Certamente! Proporre uno solo di quell’area sarebbe un errore».
Casini, dalla quarta votazione in poi, però, ha possibilità di spuntarla?
«Non lo sappiamo perché candidati come Casini hanno possibilità di essere eletti se c’è un consenso che riguarda entrambi gli schieramenti. Se il centrodestra propone un altro nome di parte, non solo non si capisce perché Berlusconi si sia ritirato, ma soprattutto si dimostra come nei fatti i numeri non ci sono e non mi sembra inoltre che Renzi sia disponibile a fare un’operazione secca in cui aggiunge i suoi voti a quelli della coalizione conservatrice su un nome solo di centrodestra».
Come vede, invece, l’ipotesi Belloni a Palazzo Chigi?
«Nel caso in cui Draghi va al Quirinale, mi sembra una strada percorribile. Belloni ha tutte le qualità per essere presidente del Consiglio».
Draghi può ancora giocarsela per il Colle?
«Ha ancora possibilità, come le ha Casini. E’ tutto, però, aperto. Vanno chiariti pregiudizialmente due aspetti. Il primo se il centrodestra non continua a insistere su un nome della sua area. Il secondo che senso hanno le parole di Conte che dice che il prossimo governo va approvato dagli iscritti del Movimento 5 Stelle. Questo complicherebbe ulteriormente le cose. Siamo, quindi, ancora nella fase iniziale per quanto concerne la dialettica tra forze politiche».
Potrebbe esserci un pezzo di 5 Stelle che non segue i diktat di Conte?
«Il tutto ruoto intorno ai rapporti tra Conte e Di Maio. Se i due vanno d’accordo non ci sono separazioni consistenti, mentre se ciò non avviene, come credo, è possibile che ci siano voti divergenti di aree consistenti del Movimento».
Quante possibilità ci sono di ritrovarsi davanti a questo scenario?
«I due faranno un tentativo di ricomposizione, ma non è affatto detto che riesca. Le linea del M5s, però, passa solo se sono d’accordo Conte e Di Maio, altrimenti due aree consistenti del Movimento si muoveranno in autonomia».
Di Edoardo Sirignano
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