Gioia Scola, che ha lavorato alla produzione della fiction su Pupetta Maresca, la miss-camorrista, in un’intervista a Spraynews, parla del rapporto con la boss che sfidò Cutolo.
Come conosceva Pupetta Maresca?
«Essendo originaria di Gragnano, la conoscevo. E’ stata un po' una leggenda. E’ stata eletta Miss Campania. Ha avuto una vita assolutamente avventurosa. Già Francesco Rosi aveva fatto un film su di lei intitolato “la Sfida”. Pupetta nasce da una famiglia semplice, la sua bellezza la porta a diventare famosa e poi diventa leggenda quando va a vendicare il suo primo grande amore e uccide Vincenzo Esposito. Conoscevo la sua storia e mi sembrava talmente adatta a farne una fiction. Non a caso, infatti, ha avuto un grande successo, considerando tra l’altro un cast d’eccellenza costituito da Ben Gazzara, Manuela Arcuri, Barbara De Rossi, Stefano Dionisi solo per citare qualche nome. La regia tra l’altro era del grande Luciano Odorisio, che vinse anche a Venezia un leone d’argento».
Da quanto tempo ha avuto a che fare con lei e la sua famiglia?
«La conosco da quando era ragazzina. Sono molto amica della figlia Antonella che ebbe da Umberto Ammaturo».
Cosa l’ha colpita della donna?
«Pupetta, alla quale col tempo mi sono affezionata, era una donna particolare. E’ molto difficile entrare nel suo cuore, essendo molto dura e caparbia. Mi sono legata a lei, però, per il suo lato familiare, in particolare quando cucinava».
Quando l’ha vista l’ultima volta?
«Quest’estate sono stata a trovare Antonella che viveva con lei e l’ho trovata molto contenta. Per lei quando andavano delle persone a farle visita era sempre una festa. Era un po' una leonessa ferita. Conservava un viso bellissimo, pur avendo un’età. E’ stata sempre molto curata. Non rinunciava mai ad andare dal parrucchiere, a farsi le mani e a curarsi in ogni dettaglio».
Cosa le è rimasto in mente dell’ultimo incontro?
«In particolare i suoi occhi, che pur essendo molto belli, trasmettevano un dolore, avendo avuto un figlio, il suo Pasqualino, che è scomparso e di cui la madre non ha mai trovato il corpo. Nella sua vita, c’è sempre un dolore dentro che fondamentalmente non è mai uscito, sempre molto forte».
Che ricordo, invece, ha della sua abitazione?
«La classica casa napoletana, dove c’è cibo a tavola, molto allegra e curata. Pupetta ci teneva tantissimo ad avere ogni giorno le lenzuola candide e ricamate a mano. C’è, poi, un terrazzo bellissimo dove si può ammirare la bellezza di tutto il golfo di Napoli».
Non si è mai sentita a disagio nell’andare a visitare quella che è considerata una delle più grandi donne di camorra?
«Assolutamente no! Pupetta è stata quello che è stata. Negli ultimi anni, però, viveva un’esistenza come tante donne della sua età. Aveva un negozio di abbigliamento a cui teneva molto. La figlia, mia amica, tra l’altro è incensurata ed estranea a tutta quella che è stata la vita dei genitori. Una persona molto affabile e una ragazza dolcissima».
E’ stata al suo funerale?
«Non sono andata solo perché, essendo fine anno, non ho trovato nessuno che mi accompagnava. Mi è dispiaciuto molto, però, non esserci. Voglio ricordarla, comunque, come l’ho vista, quando abbiamo cenato l’ultima volta insieme. Era molto sorridente, pur non stando già nella forma ottimale. Camminava, infatti, di meno. La sua grande passione, non a caso, è stata sempre quella delle passeggiate sul lungomare, dove amava tanto fare attività fisica come le aveva consigliato il dottore».
Le ha mai parlato della sua vita durante gli anni vissuti al centro della malavita organizzata?
«Certo! Ha parlato tanto del dolore del figlio scomparso e poi della sua vita molto particolare. Lei è stata quella che fece la famosa intervista in televisione contro Cutolo quando era in atto una vera e propria guerra tra famiglie».
Come ritiene sarebbe giusto ricordarla?
«Solo come donna e come madre. Era stanca del peso della camorra che si portava sulle spalle. Le piacevano molto l’abbigliamento e la moda. E’ giusto, quindi, lasciare un ricordo non di malavita. E’ doveroso che Napoli non dimentichi un personaggio che, in ogni caso, ha fatto la storia, nel bene e nel male. Sarebbe bello intitolarle un marchio di moda, d’altronde lo stesso nome si presta».
Di Edoardo Sirignano
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