Intervista a Silvio Maresca, autore di un saggio che mette a nudo il lato oscuro del pensiero e della società occidentali.
Coi tempi che corrono, coltivare lo spirito critico e il sospetto - perlomeno quello metodico - è una precauzione sana e del tutto raccomandabile. Come fare diversamente, quando a ogni piè sospinto ci imbattiamo nella manipolazione della verità, complice un web degenerato a ultima frontiera del turbocapitalismo economico e del relativismo assoluto? Quando infinite possibilità di "reificazione" vengono gabellate per altrettante possibilità di "realizzazione"? Quando ecologismo fa rima con integralismo e lo stesso pensiero occidentale, democratico e razionale, tradisce imbarazzanti collusioni con le logiche del totalitarismo? Con il suo saggio "Le doppiezze dell'Occidente" (Aracne editrice, 2020, prezzo 14 euro), Silvio Maresca effettua una disamina precisa e impietosa della società attuale, senza per questo buttare a mare le indubbie conquiste che le vanno riconosciute. Gli strumenti di cui Maresca si avvale sono quelli della più incisiva e attuale indagine filosofica, da Michel Onfray a Simona Forti, da Francesco Fistetti a Umberto Curi; a questo si aggiunge la sua "esperienza sul campo" nell'ambito della trasparenza delle istituzioni e del libero accesso alle loro informazioni, maturata nel ruolo di fondatore di Etipublica, braccio no profit di Bluserena Spa, compagnia alberghiera di cui lo stesso Maresca - classe 1961, abruzzese di Teramo - è amministratore unico e general manager. Spraynews.it lo ha intervistato per i suoi lettori.
L’Occidente e il suo doppio (anzi, i suoi doppi) è il tema del suo libro: l’irrazionalità e le pulsioni che la Dea Ragione aveva espulso dalla porta rientrano inevitabilmente dalla finestra…
Si, la mia tesi di fondo è che la ragione occidentale censura e nega il male, e assolutizza il bene. Ma l’esilio del male non lo cancella affatto. E fra gli opposti c’è una drammatica contiguità e reversibilità.
Il bene “assolutizzato” si rovescia in male. Razionalità e uguaglianza sono valori indefinitamente progressivi. C’è un estremismo nella ragione occidentale, che tende alla dismisura, all’inflattività, all’autoreferenza.
E il male ha buon gioco nel travestirsi da bene: facciamo sempre grande fatica a riconoscerlo.
Ha senso oggi parlare ancora di “Occidente”? L’impero della razionalità non si estende ormai su tutto il pianeta?
L’Occidente non è però solo razionalità. È razionalità, uguaglianza, universalità. Quindi democrazia, solidarietà… E molti dei nuovi Paesi conquistati al capitalismo e alla razionalità occidentale si guardano bene dall’adottare i valori dell’uguaglianza, dell’universalità e della democrazia. Oggi la sfida sembra proprio fra un capitalismo democratico e un capitalismo non democratico. La Cina adotta un nuovo modello capitalistico che non nasconde affatto la sua natura dispotica. Ci siamo detti per decenni che l’humus esclusivo di un’economia di mercato erano le società liberal-democratiche. Ora purtroppo siamo nella condizione di doverci chiedere se i costi eccessivi dei valori liberal-democratici non portino a soccombere nella competizione di mercato con i capitalismi illiberali. Dobbiamo sperare nella diffusione globale di una cultura dei diritti e delle libertà, ma non mi pare se ne vedano i prodromi, anzi… Di questo "Occidente", l'Italia rappresenta secondo Lei il “ventre molle”…
Sì, il ragionamento è il seguente. Uno dei propulsori del capitalismo è un forte individualismo. Si può dire che l'unica condizione perché un sistema prosperi con alti livelli di individualismo è che questi siano compensati da un forte senso della collettività e da una solida religione civile. Ma in Italia vige un individualismo debole perché soffocato dal familismo, depresso da una religione cattolica che svaluta la competizione, e sfibrato dall’abitudine all'assistenza e all'eterodirezione. Al contempo, non c'è senso civico e dello Stato, il nostro familismo amorale ne è l’antitesi, e poi ci sono la diffidenza meridionale rispetto a un Nord padrone e, di converso, la diffidenza settentrionale rispetto a un Sud predone. E c’è la Chiesa Cattolica, naturale avversario di una religione civile di identità nazionale.
Lei scrive che l’Europa cancella, nasconde e dissimula il Male, al contrario gli Usa mettono in scena la loro doppiezza e la lotta dei loro “eroi” contro le pulsioni distruttive. Ci aspetta un nuovo “secolo americano”?
L'America ha un candore che l'Europa ha perso. Vive con vigore una dimensione mitica che l'Europa da tempo ha consumato. Coltiva con devozione e determinazione i suoi miti fondativi, la sua religione civile, le sue fedi religiose. Crede nel peccato, nel pentimento, nella lotta contro il male e nella punizione, nella redenzione e nella giustizia umana e divina. Mette in scena il male, e gli eroi che immancabilmente lo sconfiggono. La sua razionalità è pragmatica e realista, aliena dalle spirali autoreferenziali della sensibilità europea. Forse perché la materiale disponibilità di grandi spazi ha modellato un mito della frontiera che è tuttora vitale. L’America è lacerata, violenta ma vitale. L’Europa scettica, depressa, stanca. Il filosofo Pascal Bruckner ha scritto: “L’America è un progetto, l’Europa è un dolore”. Ma rimane che l’America sia dilaniata … forse il “sereno” e inarrestabile dispotismo cinese non ci riserverà un “secolo americano”.
Il Suo libro mette a nudo la violenza (sottile, ma pur sempre violenza) dello Stato liberal-democratico. È ora di rispolverare Marx (o altri)?
Osservo che lo Stato liberal-democratico è scosso nel profondo dalle dinamiche della doppiezza. Per fare qualche esempio:
• Il Welfare State è travolto dall’inarrestabile espansione della sfera dei diritti da proteggere. Se si vuol proteggere da tutto, sarà difficile proteggere da qualsiasi cosa
• Il garantismo che si estremizza e finisce per diventare una protezione di potenti e criminali
• Il “politicamente corretto” che arriva ad attaccare ogni passione egoistica e identitaria, e a rovesciare la tolleranza in intolleranza degli intolleranti, ma finisce per scatenare mostri.
La stessa giustizia tradizionale viene da Lei descritta come una metrica della vendetta. Ha ragione l’Olanda, che svuota le carceri?
Sostengo che come ogni altro valore della sfera razionalità/uguaglianza/universalità la giustizia e il garantismo possono estremizzarsi e rovesciarsi nel loro opposto. E che nella pena c’è inevitabilmente la compensazione di un equilibrio sociale turbato, e che c’è una domanda sociale affinché sia comminata e sia certa. E non mi paiono sensate le obiezioni del tipo “non si possono aggiungere alle sofferenze causate dalla colpa quelle causate dalla pena”: queste estremizzazioni sono proprio una delle espressioni della “doppiezza” che rilevo, fughe in avanti che vorrebbero cancellare il male, radicalizzazioni ideologiche che partoriscono poi per reazione i deliri forcaioli. Il male c’è. La collettività pretende sia punito. Dobbiamo calibrare e mitigare la punizione, tenere sempre aperta la via della riabilitazione e rieducazione, ma no, non penso si debbano svuotare le carceri.
Nel mondo cristiano-occidentale l’uomo è dominatore della natura. Lei prende le parti della natura, però il Suo non è ecologismo, parla di “riumanizzare la natura”…
Io dico che l’ambientalismo estremista è spesso il peggior nemico dell’ambiente. Non esiste natura senza uomo. È anti-umana un’ideologia che voglia salvare la natura espungendo l’uomo. Io credo che dall’ecologismo anti-umano si debba passare a un umanesimo ecologico. L’uomo da sempre co-determina la natura. Purtroppo lo ha fatto così follemente che ora rischia l’auto-distruzione. La co-determinazione umana della natura deve oggi essere rimodellata da un’etica della sostenibilità, dalla tecnologia, e dall’arricchimento, non dalla riduzione, dei modi sostenibili di godimento dell’ambiente naturale.
Lei scrive che la pandemia ha rappresentato un cortocircuito nella rincorsa degli individui alla libertà assoluta: prove tecniche di dittatura sanitaria o alba di una nuova socialità?
Mi pare che la pandemia abbia amplificato le dinamiche che paralizzano e sfibrano l’Occidente, fra le altre:
• una tutela della persona che si estremizza in un individualismo insofferente di qualsiasi limite possa derivare dalla tensione con gli interessi della collettività;
• la razionalità che degrada in un relativismo scettico, in un generalizzata cultura del sospetto, che ormai corrode qualsiasi sapere, e qualsiasi fonte di accreditamento che non sia la condivisione con il branco;
• il ruolo del web come acceleratore delle spirali auto-distruttive della cultura che fu della razionalità e dell’uguaglianza.
Nel suo saggio si ripercorre la parabola del web, da ultima grande utopia a strumento principe del liberismo e della frantumazione della verità. Un percorso irreversibile?
L’ebbrezza libertaria dello spirito originario della Silicon Valley è ben presto scivolata verso una mission di demiurgico rimodellamento dell’uomo. Alla sua nascita, Internet era una dirompente promessa di apertura, “gratuità”, democraticità, annunciava un mondo e un uomo migliori. Era la filosofia del “Burning Man”: radicalismo libertario e anti-sistema, gratuità e dono, iper-creatività, “tecnologia della liberazione”, esplosione delle potenzialità individuali. Oggi è evidente nei proprietari dei monopoli del web un vero e proprio neo-messianismo eversivo. Schmidt, Brin, Page, Zuckerberg hanno sempre difeso il loro diritto ad agire extra legem, argomentando che tecnologia e innovazione si muovono più velocemente di qualsiasi governo, che gli interventi dei governi non possono che essere incompetenti e dannosi, e che l’innovazione esprime le sue potenzialità solo su terreni vergini e liberi. È una parabola ideale drammatica, una delle parabole della “doppiezza occidentale”, già osservata varie volte in Occidente, e non nelle epoche migliori.
È la Razionalità, strumento di liberazione umana, che sciolta da limiti e contrappesi, si radicalizza e si volge contro un uomo inadeguato e irrazionale.
Alla luce della riflessione filosofica Lei stila nel suo libro una caratteristica dei protagonisti della politica italiana… Chi vince, la “pancia” o la “testa”?
Direi un grande trionfo della pancia! La “tempesta perfetta” è stata la sovrapposizione delle difficoltà delle società occidentali - i loop di economie ciclicamente bloccate, il degrado della dialettica democratica, le complessità e le disuguaglianze crescenti, l’insofferenza per i poteri incontrollati della globalizzazione - con l’esplosione del web. Le piattaforme online arroventano la temperatura emotiva con le loro dinamiche di radicale semplificazione, polarizzazione, irrazionalizzazione e estremizzazione. Offrono la fusione nel branco creando “bolle di filtraggio” che a ciascuno mostrano ciò che preferisce vedere e che esaltano l’emotività e i “furori” di gruppo, e la magmatica emergenza di leader demagoghi. Costruiscono nemici, ingigantiti fantasmaticamente dall’irrazionalità di gruppo.
di Alberto Gerosa
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