Non staremo a ritirar fuori dagli archivi tutte le volte che il Movimento 5Stelle ha snobbato le celebrazioni del 25 aprile con una serie di distinguo e di «sì, ma» che stavano lì a rappresentare la siderale distanza del M5S dal tema dei temi, quello su fascismo/antifascismo, bollato come cosa vecchia e da consegnare ai libri di storia (per quelli che, almeno, li sfogliano). Non staremo a rileggere un post di Di Maio del 2015, in cui definiva il 25 aprile «la fiera istituzionale dell’ipocrisia», o ancora, quel che andava scrivendo Beppe Grillo nel 2013 sul suo blog sotto il titolo “Il 25 aprile è morto”, appropriandosi di una bellissima canzone di Guccini per dire che «nel grande saccheggio impunito del Monte dei Paschi di Siena il 25 aprile è morto, nel debito pubblico colossale dovuto agli sprechi e ai privilegi dei politici il 25 aprile è morto» (e verrebbe da ridere solo a pensare al debito pubblico monstre che il governo Conte ci ha apparecchiato in pochi mesi).
Non staremo a ricordare che il comico genovese sempre sul suo blog ci faceva sapere che «il tempo delle ideologie è finito. Il Movimento 5 Stelle non è fascista, non è di destra, né di sinistra». Non staremo a baloccarci con il passato, ma interrogandoci sulle novità del presente il dubbio che ci assale è che la conversione di Di Maio ai valori della Resistenza francamente puzzi di bruciato lontano un miglio. Come, peraltro, una bella colonna di fumo si alza pure dalle parti del Salone del Mobile di Milano, dove il nostro vicepremier ex Masaniello (per un giorno?) ha scoperto l’altro ieri le ragioni dell’impresa con toni talmente ispirati da far dire al presidente di Confindustria, lo stesso che solo poche settimane fa sparava a palle incatenate sul movimento, che Di Maio «è uno di noi».
Solo gli sciocchi non cambiano idea. Sì, vabbè, però cambiare idea presuppone un percorso, prima interiore e poi pubblico, di rimessa in discussione delle proprie precedenti convinzioni. Cambiare idea sì, ma con la consapevolezza che quel mutato passo non necessariamente si tramuterà in fiches da incassare al casinò della politica. Altrimenti saremmo nel regno dell’opportunismo.
Insomma se il 25 aprile non è più «vuota retorica» (lo disse il senatore Cinque Stelle Vincenzo Maurizio Santangelo, nell’anno di grazia 2015) o, peggio, una «ipocrisia»; se oggi, a differenza del Grillo del 25 aprile 2013 che scriveva «oggi evitiamo di parlarne, di celebrarlo, restiamo in silenzio» se oggi, dunque, attorno al 25 aprile c’è un battage imponente del M5S, vuol dire che qualcosa è cambiato. Che il pericolo fascista è appunto un pericolo, che il 25 aprile vale per ieri ma soprattutto per un oggi costellato da aggressioni squadriste in ogni città grande e piccola del Paese. E allora logica vuole che se tutto questo è vero – è chi scrive ritiene lo sia – e se non è basso, bassissimo opportunismo, non è possibile sfilare il 25 aprile accanto all’Anpi e il 26 mettersi a sedere in Consiglio dei ministri con Matteo Salvini, quello stesso Salvini che Di Maio accusa di essere alleato in Europa con i partiti che negano l'Olocausto. Prima di prepararsi a marciare il 25 aprile Di Maio dovrebbe - per coerenza, onesta intellettuale e morale - fare una cosa: staccare la spina al governo. Separare il proprio destino da quello del leader della Lega.
Ma, ovviamente, così non sarà. I due galletti di palazzo Chigi duellano su una data simbolo (ed i simboli contano, eccome) della nostra democrazia la loro battaglia interna all’area del potere. Convinti che – e tragicamente rischiano di avere ragione – così facendo, oltre a misurare quanto e chi ce l’ha più grosso e quante poltrone spettano all’uno piuttosto che all’altro nelle prossime tornate spartitorie, occuperanno entrambe le aree dell’arena politico-ideologica: quella anti-antifascista di Salvini (con pericolosi cedimenti alla cultura e alla fraseologia del Venetennio, peraltro) e quella del novello antifascista Di Maio, che in realtà alla cultura della Repubblica nata dalla Resistenza è (tranne per alcune pratiche deteriori che si richiamano al manuale Cencelli) sostanzialmente estraneo.
C’è solo una speranza per il 25 aprile prossimo. Che i partigiani dell’Anpi (che sono probabilmente meno folgorati del numero uno di Confindustria dal nuovo look del viceministro) si guarderanno bene dal definirlo «uno di noi».
Ps. Tanto per dovere di cronaca, nel Parlamento europeo ancora in carica il Movimento Cinque Stelle condivide gli scranni con con Jorh Meuthen, membro dell'Afd (Alternative für Deutschland), partito dell'estrema destra tedesca vicino ai negazionisti.
di Giampiero Cazzato
Comments