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A 10 anni dal sisma de L'Aquila, Martino: non basta ricostruire le case occorre ridare un futuro


Antonio Martino (Forza Italia)

Erano le 3.32 del mattino del 6 aprile 2009, quando una scossa di magnitudo 6,3 devastò L'Aquila e i piccoli centri vicini. Alla fine tra le macerie delle case si contarono 309 morti. Migliaia gli sfollati. Tra pochi giorni nella città abruzzese si svolgeranno iniziative per ricordare quel giorno terribile di dieci anni fa. Per Antonio Martino, parlamentare di Forza Italia eletto nel collegio uninominale Abruzzo 01, che comprende proprio il capoluogo abruzzese, quell’anniversario è una data importante. Per ricordare il dolore e i lutti che il sisma provocò quella notte, certo, ma anche e soprattutto per provare a dare risposte ai problemi del presente. A quelli di dieci anni fa e a quelli successivi, come il sisma del 24 agosto 2016 che rase al suolo Amatrice e che ha ridotto in paesi fantasmi diversi borghi del centro Italia. Martino quelle zone le conosce bene. Conosce la gente e i suoi bisogni. E per questo dice che «non basta ricostruire le case. Tanto è stato fatto in questi anni – un po’ meno per la parte pubblica – ma quello di cui c’è urgente bisogno è creare le condizione economiche per ridare un futuro e un destino industriale, sociale e di prospettiva a questi territori».


A dicembre scorso è stato approvato un ordine del giorno a suo nome proprio su questa questione. Come nasce l’iniziativa?

«L’idea che è venuta a me e ad altri parlamentari del mio partito è quella di creare le condizioni di una tassazione agevolata, prendendo l’esempio da quanto avviene per i comuni frontalieri del paese, vedi Livigno. Il piccolo comune alpino in provincia di Sondrio gode dello status di zona extradoganale ed è esente da alcune imposte statali, come ad esempio l'Iva e le accise. Si potrebbe, in sostanza, valutare l'opportunità di adottare ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata a gestire fiscalmente i territori del 1° e 2° cratere 2009 e anni successivi, e per un periodo non inferiore a 20 anni, alla stessa stregua del Comune di Livigno. Soluzione che potrebbe rappresentare un potente volano per il rilancio economico del territorio. Bisogna fare in modo che nelle case ricostruite, nei capannoni, nelle città, si creino le condizioni per fa venire a investire aziende, imprenditori del territorio, per ricreare un tessuto che dopo i terremoti è andato perso. Una sorta, se vogliamo, di Maine, lo stato americano stato dove la tassazione dei redditi d’impresa è più bassa rispetto agli altri stati».


Insomma, un’idea concreta tra tante promesse, spesso solo elettorali.

«Esattamente. In sostanza, i territori saranno considerati porto franco con l’esenzione, totale o parziale, dell’Iva e delle accise in modo da attrarre grandi aziende ed investimenti. Gli italiani sono stufi delle chiacchiere. Ed ho la presunzione di sostenere che mentre in tanti pensano alle mance elettorali questa nostra iniziativa è una delle poche soluzioni serie e concrete. C’è bisogno di lavoro. Le case de L’Aquila sono stata ricostruite, ma se manca il lavoro, se non ci sono opportunità di sviluppo, quelle case sono condannate a svuotarsi, i giovani se ne andranno e tanti sono quelli che hanno già fatto le valige. E’ di lavoro e sviluppo che c’è bisogno, non del tanto decantato reddito di cittadinanza. Stiamo lavorando per trasformare l’ordine del giorno approvato dal governo in una proposta di legge. Come dire Hic Rhodus, hic salta. La maggioranza di governo dimostri che è davvero accanto alle popolazioni del centro Italia, impegnandosi fino in fondo su questa questione».



Cosa significherebbe per le imprese messe in ginocchio dal sisma una norma che andasse nel senso della detassazione totale o parziale?

«Significherebbe semplicemente aiutarle a vivere. A L’Aquila c’è una fatto particolarissimo: è uno dei più grossi cantieri d’Europa con miliardi d’investimento e, nel contempo, ci sono numerose aziende che sono ad un passo dal dover portare i libri in tribunale. Avendo la detassazione dell’Iva i costi dei prodotti sarebbero più competitivi, allo stesso tempo la logistica, con le accise ridotte, sarebbe più competitiva e le grosse compagnie sarebbero invogliate a venire ad investire sul territorio. Se pensiamo che L’Aquila è a un ora di macchina da Roma ci rendiamo conti delle potenzialità enormi di questa terra martoriata».


Nel testo dell’interrogazione si citano i casi positivi dei terremoti del 2012, in particolare quello in Emilia Romagna. Perché questo riferimento?

«Anche in Emilia Romagna all’indomani del sisma che ha colpito quelle zone, sono state richieste a gran voce dal territorio e dalle aziende misure che andassero nel senso di una detassazione. Vede, ogni volta che in Italia si verifica una tragedia – e purtroppo capita con frequenza - si crea un meccanismo di risoluzione ad hoc. Secondo me questo tipo di soluzioni devono essere standardizzate, perché territori che subiscono catastrofi naturale di queste dimensioni non devono avere semplicemente la ricostruzione della casa e dei capannoni industriali. Bisogna fare cioè in modo che oltre al metodo di risoluzione infrastrutturale di protezione civile, che è sicuramente all’avanguardia, vi sia un protocollo finanziario da applicare. Perché quando capitano tragedie di questo tipo non è solo la casa che va giù. Va giù l’intero tessuto economico. E le perdite sono enormi».


di Giampiero Cazzato

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