Un addetto ai lavori ha sempre una posizione privilegiata rispetto al pubblico, e se decide di raccontare quel che vede e ha visto per tanti anni confeziona sicuramente un prodotto interessante per tutti. È il caso di Alberto Ciapparoni, giornalista parlamentare che tra le mura della Camera dei Deputati principalmente ha speso gli oltre 15 anni di servizio per il notiziario della radio nazionale Rtl 102,5. Montecitorio, una città nella città, con le sue regole e i suoi riti, e Ciapparoni racconta tutto.
Uno dei luoghi di aggregazione dei giornalisti nell'edificio di Montecitorio, tra i tanti, è la sala della mensa, dove la stampa si mescola a impiegati, funzionari e parlamentari. Armati di vassoio si fa la fila, si sceglie il pasto e lo si consuma in comode tavole. Solo una decina di anni fa, o poco più, era una sala fatta di legno e moquette, il rumore delle voci, sempre tenute basse, era ovattato. Ora invece la conversazione e le risate risuonano tra le pareti, così come i racconti delle persone. Un collega della Stampa Parlamentare approfitta della presenza dell'autore per dirgli di aver appena letto un libro di storia che riporta una di quelle raccontate in "A spasso per Montecitorio": si intitola "Augusto", di Arnaldo Marcone. È l'occasione per parlarne con l'autore.
Ciapparoni, il libro si divide tra ciò che fanno i personaggi all'interno del Palazzo e la storia dell'edificio che li ospita. Qual è il passaggio che l'autorevole collega ha ritrovato in altri tomi?
«L'episodio di pagina 95 ricostruisce la storia dell'obelisco proprio di fronte a palazzo Montecitorio. È uno dei tredici obelischi portati dai romani dall'Africa, prende l'appellativo da un faraone dal nome impronunciabile; è un monolite di granito rosso ricoperto di geroglifici su tutti i lati. Questo è stato portato dall'imperatore Augusto nel 10 avanti Cristo ed è stato utilizzato come gnomone di un enorme orologio solare, oltre 160 metri. Ora non è più funzionante».
Da dove viene l'idea di sviluppare un libro proprio su Montecitorio?
«L'esperienza pluriennale per Rtl mi ha fatto venire a conoscenza di tanti episodi interessanti. A questi ho voluto anche aggiungere quelli raccontati da tanti colleghi, che con la loro esperienza riuscivano ad andare più in là negli anni. Questo libro infatti è un po' una raccolta di curiosità, segreti e aneddoti».
Quale episodio vissuto in prima persona tra i tanti ci puoi raccontare? Così, per invogliare a leggere il libro...
«Ce ne sono tantissimi che possono riguardare diverse epoche. Mi piace ricordare quella volta in cui il presidente della Lazio Claudio Lotito era in Transatlantico, il lungo corridoio antistante l'emiciclo, l'Aula. Ma il suo permesso di accesso al Palazzo non glielo permetteva, era ospite di un deputato: sarebbe potuto andare solo nella stanza parallela al Transatlantico prospiciente il "corridoio dei presidenti", quella che per moltissimi anni venne chiamata la Corea perché lì dovevano obbligatoriamente stare i giornalisti durante i lavori parlamentare, e questo avveniva mentre era in corso in Oriente la guerra di Corea.
Oggi invece quella stanza, dotata di postazioni per computer, un tavolo, poltrone e divani modello Chesterfield rosso amaranto, è diventata la sala dei lobbisti, tutte quelle persone che vanno in Parlamento per rappresentare gli interessi privati. Tornando a Lotito, con la sua presenza si era creato un capannello di giornalisti: si parlava della lista mancata del Popolo della Liberta alle Regionali e si stava esprimendo in maniera colorita verso i deputati azzurri per il caos creato. I commessi, la forza del Palazzo preposta al mantenimento dell'ordine interno, sono venuti a verificare; la leggenda vuole che a chiedere con cortesia ma con decisione a Lotito di andarsene, visto che non aveva le credenziali per sostare in Transtlantico, sia stato un commesso romanista. Ma che poi in effetti venne accompagnato fuori da un suo collega di provata fede biancoceleste».
Qualche storia invece ti è stata riportata da colleghi più anziani...
«I nostri parlamentari hanno a disposizione molta scelta per pranzare: c'è la buvette, un bar molto fornito proprio davanti all'Aula; c'è la mensa, che però concede poca privacy. E c'è il ristorante interno, che dopo le recenti polemiche con i 5 Stelle ha di molto alzato i prezzi; tanto che molti preferiscono andare a mangiare fuori dal Palazzo. In uno di questi ristoranti all'esterno un collega mi ha raccontato di Giuseppe Tatarella, morto nel '99 e a lungo protagonista nella politica della destra italiana; aveva un rapporto particolare con il cibo e nel capitolo chiamato "Cibo, sapori e onorevoli" narro tre episodi che vi invito a leggere».
Le storie dentro e fuori Montecitorio non finiscono mai. Sicuramente ce ne sono già di nuove, pronte per essere messe nero su bianco e che non sono apparse nelle cronache parlamentari
«Certo. Tra queste ce n'è una datata 1998 che non ha una particolare rilevanza storica ma fu buffa da vedere, specie se inserita in un contesto molto drammatico come la caduta di un governo a causa di un voto di fiducia andato male. Era il 9 ottobre, Romano Prodi era in carica dal 18 maggio 1996 ,a si reggeva su una maggioranza risicata, specie al Senato. Ma fu alla Camera che si consumò la tragedia. Per lui ovviamente. Con il passaggio all'opposizione di Rifondazione Comunista (sì, c'era ancora il partito di Cossutta) viene ritirato il suo appoggio esterno e il governo perde la maggioranza. Quattro giorni dopo Prodi va alla Camera per chiedere di rinnovare la fiducia nel suo governo: ha fatto i conti, durante il dibattito il capogruppo di Rifondazione, Oliviero Diliberto, annuncia che il gruppo voterà a favore e si tranquillizza. Solo pochi minuti dopo il voto si materializza sullo schermo dell'Aula: 312 sì, 313 no. Il governo non ha la fiducia del Parlamento e si deve dimettere.
Fuori dal Transatlantico eravamo in pochi, quasi tutti i colleghi o erano in tribuna ad assistere dal vivo alla fiducia o erano nelle proprie postazioni, davanti ai televisori, per scrivere in tempo reale la cronaca del momento. Il primo ad uscire dall'Aula, in pieno caos, fu Fausto Bertinotti, proprio l'artefice del crollo del governo Prodi. Un collega delle radio private si fiondò verso di lui, registratore alla mano, per cogliere le prime parole di un momento che era comunque storico. Ma proprio in quell'istante si aprirono violentemente le porte dell'Aula e una frotta di deputati, tutti di sinistra, corse fuori: avevano visto Bertinotti lasciare l'emiciclo furtivamente e in fretta, e lo rincorrevano. Nello stesso tempo urlavano: «Traditore!». Il collega intanto aveva piazzato il registratore sotto il naso di Bertinotti, che però a sentirsi apostrofare in quel modo si girò di scatto, colpendo con la mano l'incolpevole registratore del collega che non aveva fatto in tempo a ritrarsi, mandando l'apparecchio a schiantarsi a terra una decina di metri oltre. La faccia del collega, che non poté documentare tutto quello che seguì, creava una nota buffa a margine di un fatto tragico per la storia parlamentare. Ecco, questa è la nostra vita, quella del giornalista parlamentare, che passa il suo tempo nei Palazzi del potere per poterlo raccontare ai cittadini».
di Paolo dal Dosso
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