“«Luca Palamara, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, radiato nello scorso ottobre, rivela per la prima volta i meccanismi ai vertici della magistratura che per un decennio gli hanno permesso di pilotare le nomine dei giudici che hanno poi condizionato con le loro inchieste la vita politica italiana», spiega il direttore de “Il Giornale”.
Sono consapevole di aver contribuito a creare un sistema che per anni ha inciso sul mondo della magistratura e di conseguenza sulle dinamiche politiche del Paese. Non rinnego ciò che ho fatto, dico solo che tutti quelli – colleghi magistrati, importanti leader politici e uomini delle istituzioni, molti dei quali tuttora al loro posto – che hanno partecipato con me a tessere questa tela erano pienamente consapevoli di ciò che stava accadendo. Io non voglio portarmi segreti nella tomba, lo devo ai tanti magistrati che con queste storie nulla c’entrano». Inizia così, con questa esplosiva dichiarazione, il libro in cui Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, ha raccolto in una lunga intervista la confessione di Luca Palamara, protagonista dello scandalo che la scorsa estate ha scosso dalle fondamenta la giustizia italiana. Uno scandalo che ha portato alla caduta e alla successiva radiazione di quello che era considerato l’enfant prodige della magistratura italiana, ma soprattutto il regista occulto di una fitta serie di trame di potere che attraverso la magistratura hanno condizionato le inchieste e le sorti politiche degli ultimi decenni del nostro Paese. Domanda. Che cos’è lo scandalo Palamara? Risposta. «Da un punto di vista strettamente giudiziario è la clamorosa conclusione di un’indagine avviata sul giudice Palamara nel 2017 per fatti privati di marginale importanza. Viene accusato in sostanza di aver fatto quattro viaggi all’estero nell’arco di cinque anni per un ammontare complessivo di poco meno di 9 mila euro, viaggi che sono stati pagati da un imprenditore (anche se il magistrato sostiene di averli poi rimborsati integralmente), per di più finito nei guai per altre ragioni che non c’entrano nulla con Palamara.
Dopo quasi due anni di indagine, anni durante i quali Palamara continua imperterrito il suo lavoro all’interno del Consiglio superiore della magistratura, gli investigatori gli infilano con un trucco nello smartphone un trojan, un virus che non solo registra le telefonate, ma addirittura a telefonino spento registra le voci, le immagini e gli spostamenti. Insomma come essere in un Grande Fratello perpetuo sia per il magistrato sia per i suoi interlocutori. L’epilogo avviene la notte tra l’8 e il 9 maggio 2019, in quella che viene chiamata “notte dell’Hotel Champagne”. Poco prima di mezzanotte Palamara si incontra in una saletta riservata di un hotel di Roma con cinque magistrati del Csm, con Cosimo Ferri, deputato Pd passato a Italia Viva ed ex leader del- la corrente di destra del Csm, e con Luca Lotti, braccio destro di Matteo Renzi ed ex ministro dello sport del governo Gentiloni. Lotti è tra gli indagati eccellenti nell’inchiesta sulle tangenti per appalti pubblici partita da Napoli nel 2016 e approdata alla Procura di Roma. Il tema della cena è pilotare la nomina del nuovo procuratore capo di Roma. A un certo punto il telefonino spia capta la voce di Luca Lotti che indica la convergenza su un candidato: quindi si ascolta un politico, per di più indagato, che sta dettando la linea ai magistrati presenti o comunque prende atto (come sembra da una seconda perizia fonica sull’intercettazione) del loro accordo sul nome del candidato. Candidatura che puntualmente viene presentata pochi giorni dopo al Csm. A questo punto, dopo una fuga di notizie sulla cena, la Guardia di Finanza si presenta a casa di Palamara con un decreto di perquisizione e un avviso di garanzia per corruzione. L’accusa principale e più grave, quella di corruzione, cade quasi subito, ma da quel momento finisce di esistere il “Sistema Palamara”. Nell’ottobre del 2020 Luca Palamara viene radiato dalla magistratura». D. Che cos’è esattamente il “Sistema Palamara”? R. «Luca Palamara è stato dal 2008 al 2019 al vertice del sistema giudiziario italiano. Prima come presidente dell’Associazione nazionale magi- strati, il sindacato dei giudici, poi come autorevole membro del Csm, l’organo di governo della magistratura. Da quelle posizioni ha condizionato tutte le nomine della magistratura. Infatti le nomine fatte dal Csm non sono state decise in base ai curricula, alle competenze dei candidati, o ai voti dei colleghi, ma sono state tutte decise in base all’appartenenza a una delle tre correnti in cui è divisa la magistratura in Italia: una di sinistra, che si chiama Magistratura democratica, una di centro, che si chiama Unicost alla quale apparteneva Palamara – e una di destra, Magistratura indipendente. Siccome le nomine vengono fatte a maggioranza tra i consiglieri del Csm, e Palamara, leader della corrente di centro, si era alleato con Magistratura democratica, negli ultimi dieci anni i magistrati so- no stati eletti dal centrosinistra.
Grazie al metodo Palamara, si è avuto in Italia una magistratura orientata su posizioni di sinistra, se non dichiaratamente di sinistra. Questo, naturalmente ha condizionato e condiziona le inchieste». D. Palamara non è mai stato un magistrato d’assalto, non si è occupato di grandi inchieste, tipo “Mani Pulite”. Come ha fatto a diventare il grande burattinaio del sistema giudiziario italiano? R. «Lui è figlio di un grande magistrato che morì d’infarto giovane, quando lui era studente universitario. Il padre, che era molto bravo, non riuscì a fare la carriera che avrebbe meritato perché non era addentro ai sistemi che governano la giustizia, cioè alle correnti. Credo che il figlio abbia voluto in un certo senso vendicare il padre. Palamara ha capito che tu puoi essere bravo quanto vuoi, ma se non sei parte del Sistema non vai da nessuna parte. E allora lui ha scalato questo sistema perché ha intuito che il potere non sta tanto nella singola Procura, ma in coloro che decidono chi viene assegnato alla singola Procura. Fin da subito ha lavorato più che sul campo a fare inchieste, a scalare, attraverso il sistema delle correnti, il governo dei giudici. E c’è riuscito, perché ha un talento straordinario in questo: è di- ventato presidente dell’Anm a 38 anni, che per un magistrato è come essere quasi un bambino» D. Nel libro Palamara spiega bene come funziona poi sul campo il Sistema. Meccanismo che si basa su tre elementi. R. «Il primo elemento necessario è un buon magistrato messo a capo di una importante procura della Repubblica, come Milano, Roma, Napoli, Bari o Palermo. A quel- lo pensava Palamara, ma per mettere un buon magistrato a capo di una procura importante devi avere un collegamento con la politica, perché queste scelte il Csm le compie insieme con dei signori che si chiamano “membri laici del Csm”, che sono nominati dai partiti. Quindi innanzi tutto è importante avere un buon rapporto con la politica. Poi il procuratore nominato deve essere capace di circondarsi di bravi sostituti e soprattutto di investigatori capaci, perché Palamara aveva fatto eleggere il numero uno e il numero due della magistratura italiana, cioè il presidente e il vicepresidente della Corte di Cassazione. Per un certo periodo i suoi nemici ci hanno messo un po’ a scardinare quel Sistema e ci sono riusciti soltanto perché Palamara ha commesso un errore che, se tornasse indietro, non rifarebbe, cioè la famosa cena dell’Hotel Champagne dove è presente un politico indagato. Da quel momento in poi diventa indifendibile, nonostante quelle riunioni per nominare i vertici della magistratura insieme con dei politici, o con alcuni politici, fossero l’assoluta normalità». D. Palamara nel libro si dice ancora convinto di poter essere reintegrato. Questo perché ci crede o perché ha in mano ancora qualche asso da giocare? R. «Credo che la sua sia più che altro una dichiarazione di principio. Perché dal punto di vista pratico è vero che lui può fare ricorso alla Corte europea, e che in teoria ci potrebbe essere uno spiraglio affinché possa ottenere un reintegro, ma in pratica io non credo sia possibile e a questo punto non penso interessi neppure a lui. Palamara vuole una sorta di riabilitazione. Dice: “Mi avete fatto passare come un mascalzone, quando invece il Sistema Palamara era condiviso da tutti i capi delle correnti, da tutti i procuratori della Repubblica. Ma adesso fate passare solo me per un mascalzone”». D. Il caso Palamara è la facciata che crolla mentre il palazzo resta in piedi oppure questo scandalo porterà finalmente a una modifica del Sistema? R. «No, io temo di no. Temo che vincerà chi vuole ridurre il caso Palamara a una faccenda fatto di quattro viaggi pagati impropriamente a un magistrato che va quindi punito insieme con i suoi compagni di viaggio. Perché altrimenti il Sistema dovrebbe ammettere che tutta l’attuale classe dirigente della magistratura è figlia di un’anomalia. E questo non lo faranno mai. Allora chi potrebbe intervenire? Potrebbe farlo la politica, che ha il potere decisionale. Il Parlamento potrebbe aprire una commissione d’inchiesta per vedere che cosa è successo. Le commissioni d’inchiesta parlamentari hanno anche il potere giudiziario, possono capire che cosa è successo e prendere provvedimenti. Ma questa classe politica è talmente impaurita dal potere giudiziario che mai e poi mai farà una roba del genere». D. Secondo lei dopo questo scandalo qualcosa cambierà? E chi è stato vittima del Sistema, ora che quell’accanimento è stato raccontato e documentato da uno dei protagonisti, avrà la soddisfazione di vedere riconosciute le proprie ragioni? R. «Non credo. Il mio compito non è quello di cambiare il mondo. Il mio mestiere non è nemmeno quello di provare a riscrivere la storia, ma solo quello di scrivere la cronaca. Questo libro va in questa direzione. Secondo uno dei testimoni oculari le cose sono andate così in maniera ovviamente documentata. Il mio compito si ferma lì. Se nessuno nel mondo politico e istituzionale vorrà prendere atto di questa inedita storia e far finta di niente io non potrò fare altro che prenderne atto. Penso che aver raccontato cos’è il Sistema sia una cosa utile potenzialmente per tutti anche per i magistrati, perché ci sono tanti magistrati in tutte le Procure del Paese, anche quelle più piccole, che sputano sangue e rischiano la pelle ogni giorno dalla mattina alla sera e che forse queste cose non immaginavano nemmeno potessero esistere. Prendere atto di ciò che dice Palamara può essere una cosa utile per tutti: per la politica, per la magistratura e per il giornalismo, perché anche il giornalismo ha fatto parte di questo Sistema».
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