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Alitalia, alla fine il conto sarà scaricato sui contribuenti



C’è una sola certezza nella fumosa e complicata operazione Alitalia: a pagare alla fine saranno i contribuenti. Le buste con le offerte sono state aperte e tutte hanno in comune la richiesta di una ristrutturazione aziendale. E non potrebbe essere altrimenti dal momento che la compagnia aerea è zavorrata da un debito di tre miliardi e il 2018 dovrebbe chiudersi con un passivo di 500 milioni. Non a caso, le Fondazioni bancarie che hanno un ruolo predominante nella Cassa Depositi e Prestiti, hanno detto chiaramente che si opporranno al coinvolgimento della Cdp per un “salvataggio di Stato”. Si sono tirate indietro anche Leonardo, ex Finmeccanica e Eni. Pure Ferrovie dello Stato, che comunque ha presentato un’offerta, dopo il pesante pressing del governo, ha posto come condizione che ci sia comunque un partner internazionale. Le Fs sono in attivo, anche se grazie ai contributi pubblici sotto forma di erogazioni degli enti locali che ricevono il servizio. Hanno in programma il riammodernamento dei Frecciarossa e l’implementazione delle tratte locali. Farsi carico dei debiti di Alitalia rappresenterebbe un onere che andrebbe inevitabilmente a incidere sulla qualità dell’offerta del trasporto ferroviario. Le prime ad essere penalizzate sarebbero le tratte locali, quindi i pendolari. La soppressione di una linea porterà al rincaro dei prezzi, è ovvio. Qualora venisse creata una bad company dove mettere i debiti di Alitalia, questi comunque sarebbero scaricati sui contribuenti. E poi: chi farà fronte al miliardo di euro del prestito ponte che la compagnia deve restituire? Alitalia è un’idrovora micidiale dove ancora esistono condizioni di privilegio tra i dipendenti. Basti pensare che sui biglietti vengono caricati 3 euro in più che servono a pagare la casa integrazione straordinaria.

Manca un piano industriale e anche gli altri candidati a una partnership, che hanno presentato un’offerta, cioè oltre alle Fs, Easyjet e Delta, vogliono vederci chiaro sul punto di caduta dell’operazione. Un apparentamento con le due compagnie è comunque complicato. Delta è americana e questo condiziona l’acquisto soltanto al 49% di Alitalia, in base alla normativa europea. Easyjet ha detto che qualsiasi accordo ha come presupposto che Alitalia sia ristrutturata. Inoltre il vettore inglese è interessato solo al corto e medio raggio e vuole ampliare il controllo su Milano Linate di cui ha già oltre il 35%.

L’ex amministratore delegato delle Fs, Moretti, aveva già prospettato l’ipotesi di una integrazione con la compagnia aerea ma ponendo sempre come condizione la presenza di un partner internazionale. La grave lacuna di tutto questa operazione, che si profila come il solito salvataggio di Stato (bisognerà vedere cosa ne dice Bruxelles) è la mancanza di un piano industriale. Il ruolo dello Stato si giustifica sulla base dei piani che persegue. Ma qui la rotta non è ancora pervenuta.


di Laura Della Pasqua

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