“È davvero difficile capire come mai i bambini, sollecitati ad esprimersi su cosa vogliano fare da grandi, rispondano per lo più “il dottore” o “il pompiere”. Ovvero chi cura la salute o spegne il fuoco. Mai nessuno a cui piaccia fare il magistrato, ed il perché è scontato: non sanno chi sia. Ma, forse, da grandi incapperanno nelle reti della giustizia e lo sapranno. E se chi inquina un fiume sarà semplicemente denunciato, chi dovrà subire i tre gradi di giudizio, patirà supplizi di ogni genere. Magari invecchiando in carcere da innocente. Fatta questa velocissima premessa, la riforma della giustizia è da sempre stata un tabù, qualcosa che scotta, al pari di tutto ciò che sovverte (o può sovvertire) un ordine precostituito, se possibile incrostato. Nulla può cambiare con politici senza coraggio, incapaci di pensare, proporre e agire. O fin troppo capaci di “soprassedere”, probabilmente per “quieto vivere”. È basilare la separazione delle carriere: giudice o pubblico ministero. L’intreccio tra i due ruoli - quindi un “corpo solo”- rende la magistratura più granitica, impenetrabile. Un’altra anomalia la mancata “separazione” tra magistratura e politica: chi aspira a fare il sindaco, il parlamentare o il ministro, deve “ammainare” la toga, perché (terminati i mandati) non sarà mai più imparziale. O, almeno, l’aspirante politico abbia la delicatezza di decidere, subito e senza furbizie. Nel frattempo - mi limito a tre osservazioni - i sempre più numerosi avvisi di garanzia (“temerari”) ai giornalisti, bloccati di fatto nelle loro inchieste (un processo costa tanti soldi, tante seccature e, perché no, an[1]sia), il “sistema Palamara” (certamente il pm più addentro e potente a favorire le carriere, con i suoi colleghi in dolce attesa), e il “caso Salvini” (rinvio a giudizio relativo alla storia degli inquirenti pro-migranti), suggeriscono uno scatto di orgoglio per istituire la commissione d’in[1]chiesta parlamentare sulla giustizia (non possono certo impedirla il Pd e il Movimento 5 Stelle). Senza pregiudizi, senza furori ideologici, senza sogni di vendetta. Sia chiaro: la giustizia giusta, perdonatemi il gioco di parole, resta il baluardo di ogni democrazia. Allora, processo alle toghe? Conflitto tra poteri dello Stato? Niente di tutto ciò: bisogna solo far emergere gli errori perché non si ripetano, sperando che non ci siano (stati) “errori”. Il tormento-tormentone a Berlusconi lascia dubbi e libera interpretazione. I cittadini non hanno fiducia di ciò che “profuma” di lobby. La rivisitazione della storia degli anni ’90 ha già smorzato quello splendore che all’epoca di Mani Pulite non fu sempre oro lucente, ma talvolta solo luccichio abbagliante. E come tutti gli abbagli ha determinato guasti irreparabili, politici e non solo. Fu la stagione dell’invincibilità della giustizia, sbocciata e sostenuta a furor di popolo, un popolo che non percepì i tratti e i lati oscuri. E viene in mente “l’innocenza dei bambini”.
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