«Stiamo studiando le motivazioni dell'assoluzione in appello e stiamo predisponendo l'impugnazione in Cassazione. Entro Natale». È Carlo Maria Pellicano a parlare, il sostituto procuratore generale nel processo Olivetti che ha visto condanne e assoluzioni susseguirsi da un grado all'altro del giudizio e che sta per affrontare il successivo passo, quello della Cassazione.
In primo grado, il 18 luglio 2016, il tribunale di Ivrea aveva condannato 13 persone, tra ex manager e dirigenti, tra cui il presidente di Olivetti Carlo de Benedetti e il fratello Franco a 5 anni e 2 mesi ognuno, 1 anno e 11 mesi per l'amministratore delegato Corrado Passera, tutti accusati di lesioni e omicidio colposo per dieci decessi avvenuti tra il 2008 e il 2013. Gli operai deceduti si ammalarono di mesotelioma pleurico tra la fine degli anni '70 e l'inizio del '90. La tesi accusatoria è che responsabile di queste morti sia stata l'esposizione all'amianto.
Ma la sentenza di appello ribalta tutto: tutti gli imputati di omicidio colposo e lesioni colpose aggravate sono stati assolti perché, sostiene la sentenza, "il fatto non sussiste". La Corte d'Appello censura tutte le posizioni assunte dal Tribunale sull'effettività dell'esposizione asseritamente subita dai lavoratori, sulla sussistenza di una relazione causale certa tra le condotte addebitate agli imputati e gli eventi lesivi occorsi; e sui profili di colpa attribuiti agli imputati. In pratica la Corte ha accolto le tesi dei difensori sull'impossibilità di attribuire efficacia causale certa sulle malattie e le morti per le singole esposizioni subite nei periodi in cui gli imputati hanno ricoperto le loro posizioni. Insomma: non c'è prova ogni ragionevole dubbio che ci sia relazione tra l'esposizione all'amianto delle singole persone e lo sviluppo di malattie tumorali che ne hanno provocato la morte. Una questione scientifica che entra prepotentemente anche nel giudizio della Cassazione.
Dottor Pellicano state preparando il ricorso in Cassazione, l'abbiamo scritto, entro questo Natale. Quali sono i punti più ardui?
«La difficoltà sarà valorizzare i profili della violazione di legge, in particolare la riconducibilità delle morti al contatto con l'amianto. Noi vogliamo ribadire la correttezza della motivazione del giudice di primo grado, riteniamo che la sentenza di appello non sia stata in grado di confutare quello che era stato deciso in primo grado. L'appello ha ritenuto che non ci fossero prove sufficienti e ha assolto».
Abbiamo letto le motivazioni della Corte d'Appello, non vi convincono?
«C'è sicuramente un dibattito scientifico in atto sulla riconducibilità di certe esposizioni all'amianto per certe malattie, ma la stragrande maggioranza della comunità scientifica è d'accordo con la nostra valutazione, cioè che tutte le esposizioni, e non solo le prime, abbiamo un incidenza sull'evoluzione della malattia. Il problema è valutare la responsabilità delle singole posizioni sulle esposizioni: in aziende dove c'è un singolo apicale che per tutto il periodo delle esposizioni è responsabile solo lui tutto è più semplice da gestire. Ma il problema è quando la posizione di garanzia viene occupata solo per un periodo di tempo limitato. È un problema molto complesso scientificamente, soprattutto in una malattia che ha un tempo di latenza lunghissimo. E poi il problema è anche quello di pesare le differenti responsabilità. E i sub-periodi sono un elemento di puro diritto».
Intanto il Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro, Medicina Democratica e l'Associazione italiana esposti amianto segnalano ai vertici del Tribunale che a Milano, a 2 anni dalla sentenza del 19 dicembre 2016 con cui sono stati assolti 9 ex manager Pirelli per 28 casi di operai morti o ammalati, secondo l'accusa, a causa dell'amianto, «non risultano ancora depositate le motivazioni del verdetto della Dr.ssa Anna Maria Gatto. La prescrizione corre», aggiungono, e loro sono impossibilitati a impugnare la sentenza.
di Paolo dal Dosso
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