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Anche negli USA i giovani non vogliono spostarsi per trovare lavoro



Nelle indagini sul mercato del lavoro si parla spesso della scarsa disponibilità dei giovani a lasciare la terra d’origine per spostarsi in altre città, sottoponendosi a inevitabili sacrifici. Un tema che è entrato anche nel dibattito sul reddito di cittadinanza che secondo i critici sarebbe un ulteriore disincentivo alla mobilità di chi cerca lavoro. La stampa estera ha spesso definito questa categoria di ragazzi “mammoni” ironizzando sulla difficoltà ad uscire dal nucleo familiare anche in età non più adolescenziale.


Ora scopriamo però che la difficoltà a spostarsi per cogliere le occasioni di lavoro, sta dilagando in Paesi dove la mobilità è sempre stata una caratteristica del mercato occupazionale. Stiamo parlando degli Stati Uniti. È quanto emerge da un rapporto dell’Urban Institute riportato dal magazine online Axios. Coloro che restano senza lavoro per circa un anno (in un mercato che è notoriamente più dinamico di quello italiano) di solito sono senza una specializzazione o hanno problemi di alcolismo o di droghe. Ma una quota importante è anche rappresentata da coloro che non sono disposti a spostarsi dal luogo dove risiedono.

Quello spirito di intraprendenza che ha sempre caratterizzato gli americani sembra aver perso la spinta propulsiva. Per la prima volta nella storia americana, si legge nel rapporto, la mobilità lavorativa sembra che si sia rallentata. Gli americani hanno smesso di spostarsi per lavorare. Il problema non è la mancanza di posti. Le società si lamentano di non riuscire a coprire le posizioni rimaste vacanti.


Il rapporto dell’Urban Institute ha esaminato oltre 2mila richieste di impiego a basso salario in 16 città americane ed è emerso che i posti vacanti sono superiori al numero delle persone in cerca di occupazione residenti non a grande distanza. Quasi la metà dell’area attorno a Boston ha un numero di offerte di impiego superiore ai disoccupati che vivono nelle immediate vicinanze. Questo fenomeno interessa il 32% delle aree urbane di New York e il 26% di San Francisco. L’ostacolo alla mobilità è rappresentato dall’assenza di servizi di trasporto pubblici efficienti e ad un costo accessibile. Circa cinquant’anni fa, spiega Yingling Fan, docente dell’Università del Minnesota, le città si espandevano in larghezza e la popolazione a più alto reddito si spostava nelle aree residenziali.


Di conseguenza lì si sviluppavano anche le maggiori occasioni di lavoro ma le classi più povere restavano escluse proprio perché lontane da quelle aree. Ora si assiste al fenomeno inverso. I centri urbani si sono ripopolati ma l’aumento dei costi dell’edilizia abitativa, allontana ancora una volta i disoccupati a basso reddito da questo mercato del lavoro. I più poveri vivono in quartieri oltre l’ultima fermata della metropolitana, lontani un paio d’ore o di più dal lavoro e quindi non c'è la fanno ad affrontare questi spostamenti. Questo viaggio giornaliero può valere la pena per un buon salario o buone prospettive di carriera ma nella maggior parte dei casi, dice Christina Stacy, uno degli autori del report, i costi e il disagio superano il guadagno. Poi ci sono le situazioni di quelle società come Amazon che hanno costruito gli stabilimenti lontani dalle città e che sono quindi raggiungibili solo da chi ha un’auto. A Minneapolis, il gigante del commercio ha istituito un servizio di navette che trasportano i dipendenti dalla città allo stabilimento e lo stesso ha fatto la General Mills. Il rapporto si conclude con una richiesta alle autorità politiche ad intervenire per rendere più efficienti i trasporti pubblici.


di L.D.P.

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