Era il bosco dei bombaroli, degli anarchici. È questa la descrizione che si ricava dalle 62 pagine dell’ordinanza che ha raggiunto sette presunti anarco-insurrezionalisti che dal 2017 a oggi avrebbero commesso attentati nel Trentino Alto Adige. La misura cautelare – firmata dal gip Marco La Ganga e richiesta dal procuratore di Trento Sandro Raimondi – è fitta di dettagli investigativi raccolti dal 2016 da carabinieri del Ros, Antiterrorismo e agenti della Digos. Un quadro accusatorio che ha portato in carcere Luca Dolce, Luca, Roberto Bottamedi, Giulio Berdusco, Agnese Trentin, Andrea Parolari e Nicola Briganti Nicola. Ai domiciliari Marie Antonia Sacha Beranek. Le ipotesi di reato: associazione con finalità di terrorismo, possesso e fabbricazione di documenti falsi, fabbricazione, detenzione e porto d'armi ed esplosivi, atti di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi, incendio e danneggiamento di sistemi informatici o telematici.
Il covo nel bosco
«La struttura associativa – scrive il Gip – è riferibile a Dolce, Bottamedi, Berdesco e Trentin». Tutti convivono «in una base logistica in frazione Bosco di Civezzano (Trento), lontano da possibili controlli e adibendo la stessa a centrale operativa». Il posto sarebbe stato anche un «centro di raduno per adepti e simpatizzanti provenienti anche da altre realtà geografiche, sia italiane che estere» (emersi collegamenti con Grecia, Spagna, Svizzera e altre analoghe formazioni in Italia, ndr).
I pizzini come i boss
«L'abitazione di Bosco di Civezzano – è spiegato negli atti - rappresenta qualcosa di ben più significativo di un luogo di dimora abitativa: in effetti quell'abitazione è divenuta funzionale ed utile per l'elaborazione, la predisposizione e l'attuazione di strategie eversive e di appoggio a conseguenti azioni delittuose così, da poter definire tale immobile quale covo. Si tratta di edificio isolato all'interno di un'area boschiva, ove l'appostamento per osservazioni di polizia risulta pressoché impossibile e anche la collocazione di telecamere è risultata logisticamente improbabile, tanto da determinare il disvelamento di quella collocata proprio nell'area dove si era arguito potesse collocarsi il nascondiglio». Secondo il Gip, si sarebbero programmate «azioni autonome e isolate tali da rendere difficilmente individuabile le responsabilità dei singoli, perciò precedute da attentissimo studio del bersaglio, delle vie di accesso e di fuga da utilizzare e dei tempi necessari ad evitare eventuali controlli», lasciando i telefoni accesi presso luoghi distanti per non essere «localizzati e individuati». E ancora: «Costanti bonifiche nei luoghi di residenza e sui mezzi di locomozione alla ricerca di strumentazione di controllo degli inquirenti e l'adozione di metodi comportamentali tanto a bordo delle autovetture (alzando il volume dell'autoradio) che in casa, evitando di parlare in spazi chiusi di argomenti che possano dimostrare gli scopi illeciti dell'organizzazione, ricorrendo per ciò a gestualità e a comunicazione scritte (anche alla presenza di entrambi gli interlocutori all'interno dello stesso luogo) con i relativi fogli successivamente all'utilizzo distrutti, l'impiego di strumenti tecnologici al fine di rilevare la presenza di microspie».
«L’insurrezione armata è l’unica strada”
Le indagini hanno messo a fuoco la supposta pericolosità della cellula insurrezionalista riprendendo alcune righe scritte nella rivista anarchica "I giorni e le notti" di cui alcuni dei sette sono anche redattori: "Il cambiamento violento delle condizioni date, l'insurrezione armata contro l'ostacolo materiale - lo Stato - che impedisce ogni trasformazione reale è ancora oggi l'unica strada possibile verso la libertà... ad aprire la strada all'anarchia è la rivoluzione sociale, di cui i tentativi insurrezionali - fino all'insurrezione vittoriosa - sono l'inizio possibile...».
L’anarchico greco
L’ordinanza riferisce pure le parole di un ospite del gruppo pronunciate il 13 aprile 2017 dall’anarchico greco Christos Tasioulas parlando con Bottamedi: «Gli sbirri sono una merda, la divisa è una merda, però non è che quando ci sarà la ribellione io uccido tutti gli sbirri gli lascio fino all'ultimo n10mento una scelta di venire con noi».
Gli attentati
Magistrati e investigatori accusano i sette degli attentati alla Facoltà di Matematica dell'Università di Trento, alle auto della polizia locale, ad alcuni tralicci della Spa Tower a Rovereto, alla filiale della banca Unicredit e all'agenzia di lavoro interinale “Randstad”, sempre a Rovereto. E, ancora, il 13 ottobre scorso alla sede della Lega di Ala, quando sarebbe dovuto arrivare il ministro dell'Interno Matteo Salvini.
Altri sospetti
La polizia giudiziaria – prosegue l’ordinanza - con dovizia di particolari, dal 2014 avrebbe contato «ben 78 episodi eversivi commessi in orario diurno riconducibili al gruppo anarchico trentino, connotati da danneggiamenti, occupazioni di immobili, violenza verso forze dell'ordine e privati cittadini, danneggiamenti, detenzione ed uso di oggetti atti ad offendere. Di tali episodi, almeno tredici vedono la certa partecipazione anche dei quattro predetti sodali insieme o separatamente, nonché degli altri indagati, così come da rispettive. anno avanti e indietro tra l'abitazione e l'attigua area boschiva, ove è evidentemente ubicato un nascondiglio».
Magistrati e investigatori
«Si tratta di un gruppo particolarmente resistente, i cui componenti sono autori di numerosi attentati: un gruppo che si muove secondo una logica insurrezionale, di una vera e propria rivoluzione da compiere con atti violenti», dice il procuratore antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero. «Alla base – spiega il capo della Procura di Trento, Sandro Raimondi - c'è una radice ideologica molto forte, si parla esplicitamente di rivoluzione, di sovvertire l'ordine costituito, ma il gruppo aveva una 'struttura aziendale', con basi fisse, nelle quali si seguivano stringenti regole di sicurezza, evitando ad esempio di parlare e comunicando con fogli scritti, successivamente bruciati».
di Fabio Di Chio
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