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Arturo Scotto: “Basta con il tiro al piccione. Draghi deve difendere Roberto Speranza”

Intervista esclusiva ad Arturo Scotto, Coordinatore Nazionale di Articolo Uno

“Due pesi e due misure. Tutti solidali con Giorgia Meloni. Nessuno con Roberto Speranza”

“Tutti zitti dopo gli insulti del Direttore di Libero a Speranza. E’ la decadenza del giornalismo italiano”

“L’alleanza Pd-M5s-Leu deve partire dalle disuguaglianze. Altrimenti non parlerà a nessuno”


Scotto, hanno minacciato di morte il vostro leader Roberto Speranza e la sua famiglia. Le domando a che punto siamo arrivati?

Emerge in modo evidente che ci sia un clima di tensione che in questi ultimi mesi è stato alimentato in particola dalla destra. Un clima di tensione che non non ha come bersaglio solo Roberto Speranza. Basti pensare alla bomba molotov all’Istituto Superiore di Sanità e alle intimidazioni contro il Presidente della Regione Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Un clima pesante contro tutti quelli che hanno adottato misure di rigore nei confronti di una pandemia, che purtroppo ci mette ancora di fronte a dati estremamente preoccupanti. Non ci saranno mandanti morali, ma di sicuro c’è un clima di ostilità che è stato costruito e che mette al suo centro un attacco contro Roberto Speranza, scaduto ormai nella personalizzazione più bieca. E non mi riferisco solo a quanto ha scritto il Direttore di Libero, Pietro Senaldi, ma anche ai tanti articoli che hanno messo Speranza e Salvini sullo stesso piano, come se fossero gli epigoni di opposti estremismi, degli opposti radicalismi di chi vuole chiudere tutto e di chi tutto vorrebbe riaprire. Sono irresponsabili contributi alla confusione e alla mistificazione. Siamo in linea con l’Europa. La pandemia non è ancora finita. Immaginare di sottoporre ad una continua pressione il Ministro della Salute equivale ad un attacco alle istituzioni democratiche di questo Paese. Mi auguro che ci siano quanto prima degli interventi e delle parole chiare da parte dei massimi rappresentanti delle Istituzioni. Non è accettabile il tiro al piccione.


Auspica anche una presa di posizione del Presidente del Consiglio Mario Draghi?

Draghi sta riconfermando la linea del Governo Conte, a dispetto di quanti immaginavano e magari auspicavano chissà quale rivoluzione. Ha mantenuto la salute pubblica al primo posto a scapito delle pressanti e pur legittime ragioni dell’economia, ma le scelte fatte vanno poi difese. E va difeso il Ministro che le rappresenta.


Torniamo ai media. A Senaldi che su Libero ha definito il Ministro Speranza un becchino, un carceriere e un uccellaccio del malaugurio. E’ indignato?

Da un lato ho provato una grande pena per il livello di decadenza del giornalismo italiano. Del resto Libero non è nuovo ad attacchi scomposti. Basti pensare a quante volte ha preso di mira il mezzogiorno e Napoli e si è distinto in campagne xenofobe, razziste e sessiste. Non credo che esista in Europa un solo altro giornale di estrema destra così aggressivo e che caricaturizza sistematicamente gli avversari, con un linguaggio chiaramente fascista.


E dall’altro lato?

Dall’altro lato una pena ancora maggiore la provo per chi non ha reagito. Abbiamo giustamente difeso Giorgia Meloni per gli attacchi sessisti e anche razzisti che aveva subito da un illustre docente illustre dell’Università di Siena, come Giovanni Gozzini, che peraltro è stato anche sospeso dal suo incarico per tre mesi. Ci saremmo aspettati un’analoga reazione nei confronti del Direttore di Libero. E, invece, c’è stato un silenzio preoccupante anche per la tenuta democratica del nostro Paese. Senaldi imperversa da mattina a sera in tutti i programmi televisivi. Le domando se sia accettabile che il sistema dei mass media e gli stessi editori democratici, senza distinzione fra servizio pubblico ed emittenti private, chiamino in televisione uno che è esplicitamente xenofobo e razzista. Non è un problema di libertà di stampa, ma di qualità dell’informazione. Degli argini che vanno alzati nei confronti di chiunque faccia una propaganda di tipo xenofobo, razziasta e sessista.


State bevendo un calice amaro di un’alleanza allargata a Salvini. E’, però, questo, le chiedo, anche un tempo utile per rinsaldare le alleanze con il Pd, che ha cambiato nel frattempo il suo segretario e con i Cinquestelle, che a breve si affideranno all’ex premier Giuseppe Conte?

Il tempo del Governo Draghi non va concepito come quello di uno sciopero della politica. Siamo dentro un processo di trasformazioni delle forze politiche e, dunque, anche dello schieramento democratico. Ci siamo assunti, tutti insieme con il Pd e i Cinquestelle, la responsabilità di non sfuggire all’appello del Presidente Mattarella. Io penso che abbiamo fatto bene. Sarebbe stato un segnale drammatico se le forze, che avevano dato vita al Governo Conte, si fossero divise in questo tornante, ma ovviamente questo tempo non va sprecato. Dobbiamo rinsaldare le nostre alleanze. Se c’è stato un limite nel Governo Conte è stato quello di non essere riusciti a trasformare un’alleanza di resistenza alla destra sovranista in un progetto politico compiuto. Io credo che occorra passare dalla resistenza al progetto e costruire le basi per uno schieramento progressista nuovo che metta al centro le emergenze emerse da questa pandemia. Oggi l’Istat ci consegna una radiografia drammatica. In un anno si sono persi un milione di posti di lavoro, nonostante l’adozione di una misura giusta, che noi abbiamo fino in fondo condiviso e difeso, quale è il blocco dei licenziamenti. Ci troviamo di fronte all’impoverimento di parti rilevanti della nostra società e a un ceto medio che via via scivola verso l’indigenza. Uno schieramento progressista o mette al centro la questione sociale oppure rischia di non parlare a nessuno, afasico e irreparabilmente separato dalla realtà. Credo sia questa la sfida della coalizione. Deve impiantarsi a partire dalla prossima sfida, quella delle elezioni amministrative, superando ogni rendita di posizione. Non si dovrà partire da se stessi, ma da una visione unitaria. E solo dopo, si potranno fare le scelte sui nomi.


Che cosa la fa più arrabbiare in questo momento?

La cosa che più mi fa arrabbiare è l’inconsapevolezza delle classi dirigenti, non solo per intenderci di quelle che fanno riferimento alla destra. Parlo del sistema informativo, degli industriali e delle associazioni sociali. Parlo della sottovalutazione diffusa di quello che la pandemia ha mostrato e dimostrato. Dovremmo fare i conti con un modello di sviluppo che già non reggeva più prima dell’irruzione del Covid dentro le nostre vite. Un modello che era un moltiplicatore di disuguaglianze. Di divergenze territoriali, di genere e fra le diverse generazioni. E’ preoccupante vedere le classi dirigenti discutere sulle saracinesche da aprire o da chiudere, anziché sull’idea di un rilancio di un Paese che deve tornare a investire nei beni pubblici fondamentali, dalla scuola alla salute. Un Paese che deve accelerare la transizione ecologica, offrire protezione alle classi più disagiate, mettere al centro l’idea nuova di uno Stato che programma e che investe. Tutto questo non c’è ed è la mia maggiore amarezza. Come ha detto Papa Francesco, dalle grandi crisi si può uscire migliori. Per uscirne migliori andrebbero, però, messe sotto le luci dei riflettori tutte le cose che non andavano bene prima dell’apocalisse. Vedo, invece, farsi strada ed allargarsi l’idea di un ritorno all’indietro. Vedo un ampio schieramento della conservazione che è molto pericoloso e va contrastato senza tentennamenti.


di Antonello Sette


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