Mario Landolfi, già ministro delle Comunicazioni nel governo Berlusconi, sottolinea come la richiesta da parte dell’avvocatura dello Stato di un risarcimento a Palamara e Sallusti per danni all’immagine dello Stato sia «una richiesta un po' lunare». L’ex deputato, invece, evidenzia come serva piuttosto istituire una commissione d’inchiesta in grado di occuparsi di vicende come queste. Egli stesso, pertanto, sosterrà i quesiti proposti dai Radicali, partecipando anche all’iniziativa sull’importanza del referendum, organizzata dal centro studi “Pietro Golia”, che si terrà nel pomeriggio di giovedì a Napoli.
Referendum, perché lo ritiene così importante?
«Può cambiare molto. Il referendum rappresenta una possente spinta popolare rivolta al Parlamento affinché legiferi dopo l’approvazione di una legge o una parte di essa. Parliamo di giustizia e di una serie di quesiti che incidono fortemente sul funzionamento della macchina giudiziaria, ma anche sulla valutazione dei magistrati e quindi sul ruolo e sulle modalità di elezione del Consiglio Superiore della Magistratura. Sono quesiti rilevanti e importanti. E’ vero che il Parlamento, molte volte, ha disatteso, platealmente tradito, le indicazioni referendarie, ma è altrettanto vero che viviamo in una fase in cui la giustizia è diventata una vera e propria emergenza».
Cosa sta succedendo?
«In questo caso, il tema del sorteggio, della separazione delle carriere comincia a mietere consensi anche in settori della magistratura. Ricordo che non molto tempo fa un magistrato come Woodcock sul Fatto Quotidiano, testata non sospettabile di simpatie garantiste, ha definito la separazione delle carriere una sorta di necessità perché sosteneva l’importanza di recuperare la cultura del giudizio e in qualche modo liberare la figura del giudice dalla tutela del Pubblico Ministero. Sono questioni molto importanti che in una democrazia funzionante, normale, serena, sotto il profilo del rapporto tra politica e giustizia, dovrebbero essere di esclusiva pertinenza del Parlamento, ma in Italia, dove per dirla nel gergo calcistico le marcature sono saltate e non da ora, bisogna purtroppo ricorrere al referendum. Ci sono tanti motivi per cui questa spinta popolare ci vuole. E’ necessario che si raccolgano le firme, si vada a votare, si raggiunga il quorum e che vinca chi vuole modificare la macchina della giustizia in un senso più favorevole alla giustizia stessa».
A cosa si riferisce?
«Bisogna fare in modo che chi va in un’aula del tribunale ci vada con la mente sgombra da pregiudizi di altro tipo perché c’è un dato che emerge sul quale non si può non fare chiarezza, quello evidenziato e denunciato dal libro di Palamara e Sallusti sull’uso politico dell’azione penale. Quante volte un esponente politico rappresentante della volontà popolare è stato inquisito, giudicato ed eventualmente condannato in virtù di un pregiudizio politico, mentre a parità di condizioni un altro dello schieramento opposto non è stato neanche indagato. Critichiamo Orban e i paesi dell’est Europa, accusandoli di essere autoritari, di sottomettere la giustizia agli interessi politici e poi qui in Italia abbiamo una gestione fortemente inclinata e condizionata dal gioco politico. Tutto ciò è pericolosissimo. Veniamo da una guerra ventennale tra potere giudiziario e politico e poiché la magistratura svolge un ruolo di assoluta delicatezza c’è bisogno che lo faccia nel miglior contesto possibile».
Con il referendum, quindi, si cambierebbe tutto?
«Non si cambia tutto, ma dobbiamo tendere al miglioramento. Poiché il Parlamento non lo può fare, per tutta una serie di ragioni, c’è bisogno di questa spinta possente, che mi auguro, venga dai cittadini».
Lei ha fatto riferimento al “Sistema” di Palamara. Oggi l’avvocatura dello Stato chiede agli autori del libro un risarcimento per danno di immagine allo Stato. Che idea si è fatto?
«La richiesta mi sembra un po' lunare. Al contrario, invece, ritengo che sia necessario istituire una commissione d’inchiesta, pur essendo un auspicio, perché ritengo questo Parlamento non lo farà mai. Qualsiasi Parlamento, nel momento in cui esiste una denuncia di tale tipo, avrebbe dovuto essere interessato a conoscere la verità dei fatti non per vendicarsi, ma per accertarsi, capire e correggere. La democrazia significa separazione dei poteri secondo la tradizionale ripartizione di Montesquieu. Il potere legislativo spetta al Parlamento, quello esecutivo al governo e infine quello giudiziario alla magistratura. Per quanto oggi possa apparire tutto ciò qualcosa di datato, non c’è un’alternativa, in termini di organizzazione democratica, delle istituzioni. Se si vede, pertanto, che uno di questi poteri esorbita, intaccando la sfera di competenza degli altri si crea un’anomalia. Il sistema italiano è già squilibrato dal fatto che, nel 1993, un Parlamento intimidito abolì l’immunità parlamentare, fatto solo italiano perché sistemi a tutela della funzione parlamentare esistono ovunque. Noi, invece, li abbiamo abrogati. C’è bisogno, pertanto, anche qui di rimettere in equilibrio i poteri, altrimenti non avremo mai una democrazia funzionante».
Negli ultimi giorni, infatti, sentiamo tante storie di politici, da destra e sinistra, assolti ma allo stesso tempo costretti a pagare le cicatrici di accuse che poi si sono rivelate infondate…
«Anche Landolfi ne è stato vittima. So, quindi, di cosa sta parlando. Abbiamo delle anomalie. Avendo un unico ordine nel quale confluiscono sia Pm che giudicanti, essendo i primi molto più numerosi dei secondi sono quelli che determinano le carriere di chi giudica. L’accusa, pertanto, ha un peso enorme sul giudice che emette il giudizio. I giudizi, infatti, che fanno fare carriera sono quelli supportati dal grande clamore mediatico e quindi a carico dei politici. Lì si determinano le carriere. Tutto si tiene in qualche modo. Ecco perché Woodcock parlava di liberare la funzione giudicante dall’ipoteca dell’accusa. Rispondendo a chi diceva separiamo le carriere, ovvero che il Pm fosse risucchiato dalla cosiddetta funzione investigativa di poliziotto, egli rispondeva si è vero, ma è ancora più pericoloso, come stanno le cose oggi, con il giudice che viene risucchiato dalla forza, dal potere dell’accusa. Dobbiamo recuperare, invece, la cultura giudicante, quella che adesso sta scomparendo».
Di Edoardo Sirignano
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