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Bangladesh? No, Italia



Palma Campania, posizione strategica, infilata tra Napoli (di cui è provincia), Caserta e Salerno. Parte integrante dell’importante triangolo del tessile destinato alle «griffe» internazionali del lusso (i cosiddetti «terzisti») assieme a San Giuseppe Vesuviano e Nola. Cittadina tranquilla e custode delle buone tradizioni locali, meno problematica di altre della difficile cintura napoletana, devastate dalla camorra e dalla criminalità di strada, stralunate dal miraggio del lavoro che non c'è. Un quadro quasi idilliaco... Fino a dieci-dodici anni fa. Quando ha preso il via, sempre più incalzante, una «strana» invasione. Che ne ha distrutto la fisionomia e stravolto il tessuto socio-economico. Fino a consegnarle un record assai poco invidiabile. Roba da strabuzzare gli occhi. Da porsi, a ragione, mille interrogativi... L' eccezionalità assoluta sta nella percentuale altissima di extracomunitari. Straripante, imbarazzante. Almeno, forse oltre, il cinquanta per cento della popolazione palmese. Cifre «monstre». Meno di 16 mila anime, ottomila - suppergiù - gli immigrati. Tutti, immancabilmente, bengalesi. Poco più di duemila i regolari, status di rifugiati (rifugiati da che cosa, poi? Solita finzione). Gli altri cinquemila agevolmente infiltratiisi tra le larghe maglie della legalità che non c'è. Come troppo spesso nel Sud, in Campania in particolare. Assenza dello Stato. Interessi convergenti tra i trafficanti connazionali dei migranti e i troppi italiani furbi. Dacca (caotica capitale del Bangladesh) chiama, Palma Campania risponde. Col sostegno della camorra, grande procacciatrice di posti di lavoro, «in nero» naturalmente, due soldi e 12 ore al giorno. Per la soddisfazione di tanti imprenditori locali senza scrupoli. E di decine e decine di affittuari che non guardano per il sottile. Case in cui si ammassano anche in venti, magari in 50 striminziti metri quadri. Condizioni igieniche miserevoli. Cimici nei materassi, leste a trasmettersi da un alloggio all' altro. Ritorno della tubercolosi, undici casi - nei mesi scorsi - certificati dalla ASL. L’importante è il portafogli, la salute è un «optional». Benvenuti nella surreale «Banglacampania».


Nell’arco di dieci-quindici anni verrà incoronata prima cittadina islamica d’Italia, diretta succursale del Bangladesh. Una piccola - affollata - moschea, dove attecchisce la predicazione jihadista. Lo struscio in via Roma, il corso del paese, che - il sabato pomeriggio - è monopolizzato dai «bangladini», nome a tinte dispregiative dei bengalesi. Non un popolo violento. Ma rumoroso e ubriacone, alla faccia del Profeta. E senza rispetto alcuno per il decoro cittadino. I più intraprendenti che fanno man bassa di esercizi commerciali in centro, rilevandoli (con quali soldi si può immaginare, siamo nel napoletano) da palmesi avidi o in difficoltà. C'e chi ha tentato, invano finora, di spezzare questa spirale di degrado e di abuso. Il rampollo della famiglia più illustre di Palma, il suo trisavolo senatore del Regno e scienziato, medico personale di Umberto e della consorte Margherita. Imprenditore metalmeccanico di punta, studi all' estero, Placido de Martino, uno che o si ama o si odia, si rese protagonista - nel 2014 - di un’iniziativa che provocò sconquassi: consensi e scandalo, applausi e rancori. Una petizione, firmata da oltre mille palmesi e inviata alle autorità locali e nazionali, che aveva il (chimerico) obiettivo di ripristinare il rispetto delle regole, di restaurare l' identità perduta. Macché... Un muro di gomma. Niente da fare. Trattato come un velleitario, un «pericoloso» Don Chisciotte. Gli misero in bocca espressioni sprezzanti, che assicura di non aver mai pronunciato («Via gli immigrati, perché puzzano e sputano per terra»). Tentarono di farlo passare per un bieco razzista. Lui non pensò nemmeno un attimo a mollare. Fondò l' associazione «Industrialismo», spina nel fianco della solita «nomenklatura», presto Fondazione culturale, il progetto - più in là - di un organo di stampa. Alle elezioni del 10 giugno - brutta atmosfera, sospetti di un utilizzo diffuso del voto di scambio - de Martino ha deciso di non appoggiare nessuna delle tre liste in lizza (Cinque Stelle; Fratelli d' Italia-Lega; di larga coalizione). «Non andrò nemmeno a votare - annuncia tra furia e rammarico - Non vedo un personaggio che disponga delle credenziali giuste per condurre in porto la battaglia per salvare Palma Campania e debellare quella che considero una "tratta degli schiavi". Troppi equivoci, omissioni, mezze parole... Noi, con "Industrialismo", continueremo nell' opera di denuncia».


L' amministrazione comunale uscente, che ripresenta alcuni dei suoi membri in una lista che va da FI al Pd, si difende e contrattacca per bocca del vicesindaco Sabato Simonetti. «Noi -sottolinea ogni volta - abbiamo fatto tutto quello che era nei nostri poteri. Segnalato e sollecitato. Prefettura, forze dell’ordine, Viminale. Abbiamo, è vero, ottenuto poco. Anche perché, qui a Palma, c'è un sindacato che da anni funziona come centro di accoglienza e smistamento dei bengalesi. Provvedono loro a tutto. Documenti, assistenza sanitaria, sistemazione lavorativa e abitativa. Mezzi legali, ma discutibili». Il sindacato - «ufficio di collocamento» in questione è il semisconosciuto Sia-Confsal, sede nazionale a Roma. Il responsabile palmese, Giovanni De Pietro, ripete come un mantra che «tutto è in regola» e che i bengalesi assistiti «pagano soltanto la tessera di iscrizione annuale. Cento euro, nient' altro». Ma quali profumati guadagni e arricchimento facile. Insinuazioni «malevole» le altre, e peggiori, voci che girano «destituite di fondamento». E «Banglacampania» si radica sempre di più. Tranquillamente. Senza noie, senza troppi controlli. Colonizzazione autorizzata di una (ex) italica cittadina.


di Giovanni Masotti

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