Bassa crescita e alto debito pubblico sono il tallone d’Achille dell’Italia. Ma a queste criticità che fanno parte da tempo del DNA del nostro Paese, si è aggiunto un altro fattore di rischio: il rischio dello spread legato a una politica economica che ha puntato sul deficit più del consentito dal bilancio. È questo l’ennesimo warning che arriva dalla Banca d’Italia che si aggiunge alle recenti previsioni al ribasso sulla crescita dell’Istat e agli avvertimenti di altri istituti economici. «L'incertezza sull'orientamento delle politiche economiche e di bilancio ha determinato forti rialzi dei rendimenti dei titoli pubblici. Le condizioni di liquidità del mercato secondario dei titoli di Stato sono più tese rispetto ai primi mesi dell'anno», si legge nel Rapporto della Banca centrale. L’attenzione di via Nazionale è rivolta in particolare al differenziale tra il Btp italiano e il Bund tedesco. Il caro-spread "rischia di vanificare l'impulso espansivo atteso dalla politica di bilancio". Bankitalia, come altri istituti, si dice «Alquanto scettica sugli obiettivi del governo, visto che la maggiore crescita rispetto al tendenziale di circa 0,6 punti percentuali, prevista per il 2019, "presuppone moltiplicatori di bilancio piuttosto elevati».
Sul rapporto debito/Pil inciderà la fiducia degli investitori e la capacità della legge di bilancio di non creare situazioni destabilizzanti verso i mercati. Al momento, evidenzia il Rapporto, si è configurata una situazione di incertezza che non è il terreno più favorevole allo sviluppo. L’indicatore Della diffidenza con cui gli operatori internazionali guardano all’Italia si esprime, prima che con l’andamento dello spread, con il livello dei CDs, cioè le assicurazioni per proteggersi dal rischio di insolvenza di un Paese. Ebbene, questi per l’Italia, sono ai massimi da cinque anni. Inoltre a partire da maggio la liquidità del mercato secondario dei titoli di Stato si è fortemente ridotta e, anche se nei mesi più recenti gli scambi sono aumentati e la capacità del mercato di assorbire ordini di importo significati o è notevolmente migliorata, «Le quantità quotate rimangono tuttavia inferiori a quelle del primo trimestre dell'anno».
A questi due indicatori se ne aggiunge un terzo. Gli investitori internazionali hanno cominciato a vendere i titoli di Stato italiani. La quota nei loro portafogli è scesa, nel secondo trimestre, di circa 3 punti percentuali, al 24%. Bankitalia fa osservare che questa è «La variazione negativa più alta dal secondo trimestre 2012», poi proseguita nel terzo trimestre «Sebbene a un ritmo più moderato». La Banca centrale ricorda che il nostro Paese ha come scudo protettivo alle turbolenze dei mercati, un basso indebitamento del settore privato, un elevato avanzo commerciale e una posizione debitoria netta verso l'estero che se pressoché azzerata. Inoltre «l'elevata vita media residua del debito pubblico rallenta la trasmissione dell'aumento dei rendimenti dei titoli di Stato al costo medio del debito».
Il Rapporto sottolinea che l’Italia non può non subire l’impatto di eventi che fanno parte dell’economia mondiale. A cominciare dalla guerra dei dazi: «Il protrarsi dei contrasti commerciali può avere conseguenze negative sulla crescita e le delle condizioni finanziarie a livello globale sono divenute meno espansive». Nel Vecchio continente si annota che le"banche sono solide", ma su tutto aleggia "l'levata l'incertezza sull'esito dei negoziati per la Brexit". Bankitalia traccia quindi uno scenario di quello che potrebbe accadere con l’aumento ulteriore dello spread. In presenza di rendimenti “elevati e persistenti" dei titoli di Stato, si avrebbero una serie di conseguenze a catena. I rincari dei rendimenti, si legge nel Rapporto, «Ostacolano il calo del rapporto debito/PIL, riducono il valore della ricchezza delle famiglie, frenano e rendono più oneroso il credito al settore privato, peggiorano le condizioni di liquidità e la patrimonializzazione di banche e assicurazioni». Sono soprattutto le banche esposte al maggior rischio a causa degli investimenti necessari a coprire gli impegni presi con la clientela e dell'elevata quota di titoli di Stato in portafoglio. Questo si tradurrebbe per i risparmiatori in minor denaro a disposizione e a condizioni più stringenti e più onerose.
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