Sulla soglia degli ottantatré anni ci si immagina appagati, sazi degli appetiti di una vita piena e vissuta. Silvio Berlusconi, che quell'età si appresta ad abbracciarla a settembre, di ritirarsi a vita privata a far conto coi ricordi, per ora non sembra volerne sentir parlare. Anzi, nonostante qualche acciacco fisico e un partito in agonia, si appresta alla sfida delle Europee con il solito piglio e la solita ostentata sicurezza. Nel corso del suo blitz a Torino, dove si è lasciato andare tra battute, barzellette, previsioni e sentenze, il Cav si è ripreso per un po' la scena come non accadeva da tempo, senza risparmiare qualche appunto al figliol prodigo Matteo Salvini e indicando la via per una nuova stagione europea di cui vuole essere protagonista. Una "riscossa popolare" che possibilmente converga al centro e che strizzi l'occhio ad alcune delle questioni care ai sovranisti (difesa dei confini e gestione dei flussi migratori). La partita delle partite per il veterano dei moderati italiani, proiettato a far valere le proprie amicizie in campo europeo – dove spera di poter tessere le trame – lo vede impegnato in prima persona per risollevare le sorti di Forza Italia, sempre più una creatura acefala, scaricata da una parte dei suoi alleati e dei suoi stessi membri. Dietro al risultato del voto di domenica, infatti, si nasconderà la sentenza sulle sorti del partito ri-fondato nel 2013: resistere e assestarsi attorno al 10% significherebbe un segnale di vita, ossigeno per Tajani e i suoi. Da lì dovrebbe poi partire una ristrutturazione, forse da affidare a un concistoro ristretto di fedelissimi (Tajani e Carfagna su tutti). Tutte soltanto ipotesi, giacché se il risultato dovesse essere inferiore alle aspettative, si aprirebbe una crisi senza rimedio e molti seguirebbero le orme dei Toti, già con più di un piede fuori e la mente verso la più scintillante Lega. Una Lega che Berlusconi sa di non poter più gestire da subalterna e a cui rivolge spassionati appelli perché possa tornare all'ovile, arrivando addirittura ad annunciare l'ormai sopraggiunto «declino per Salvini». Dapprima infastidito, poi turbato e per ultimo scioccato dalla resilienza con cui Lega e 5 Stelle sono rimasti, seppur a modo loro, a braccetto per più tempo di quanto ci si potesse aspettare, Berlusconi insiste sulla necessità di una leadership «d'equilibrio e buonsenso», qualità che dice di non aver riscontrato nel leader del Carroccio, al punto che se dovesse finalmente tornare in auge l'ipotesi di un esecutivo di centrodestra, la figura di premier da lui indicata sarebbe proprio quella dell'amico Tajani. Con invidiabile ottimismo, il presidente azzurro traccia dunque la linea che spera venga raccolta da quella parte della Lega che, a suo dire, «la pensa esattamente come noi». Parole che ammiccano al discorso del sottosegretario Giorgetti alla stampa estera, in cui delineava un futuro piuttosto incerto per il governo gialloverde, in cui le differenze sostanziali dei due attori principali si sono via via acuite. Berlusconi delinea per Salvini un declino che è in realtà il suo: lo si evince da come decanta le lodi dei leader vecchio stampo, quelli che ormai non ci sono più e che lo fanno sentire un dinosauro che lotta contro una nuova leva rozza, insensibile, sguaiata e poco lungimirante. Nell'ennesimo rilancio della sua carriera politica, che questa volta ha per molti il gusto dell'illusione, c'è tutto Berlusconi: one man show nella sconfitta quanto nella vittoria, incapace di piegarsi al volere del tempo che passa, sordo ai richiami di chi gli prospetta un mondo molto diverso da quello in cui ha prosperato e forse, proprio perché cavaliere, deciso ad un'altra, ennesima (probabilmente ultima) battaglia in cui vincere o perire.
di Alessandro Leproux
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