L’ha picchiato a mani nude fino ad ammazzarlo. Poi ha chiamato il 112: «Venite, mio figlio sta male». Ma per il piccolo Daniel, 2 anni appena, non c’era più niente da fare. Quando sono arrivati i sanitari del 118 non hanno potuto fare altro che constatarne il decesso. Del padre, il 25enne croato Aliza Hrustic, disoccupato con la passione dei capi griffati e abituale consumatore di hashish, non c’era nessuna traccia, mentre sul divano, accanto al cadaverino pieno di ecchimosi, era rimasta la mamma, Silvia, 23enne, incinta al sesto mese del quinto figlio.
La famiglia da poco tempo aveva occupato un alloggio al piano terra di un palazzone fatiscente dell’Aler, l’azienda lombarda delle case popolari. Erano abusivi come quasi tutti gli altri abitanti del complesso condominiale situato in zona San Siro, nella periferia ovest di Milano. Immobili un tempo destinati agli italiani poveri, poi diventati “feudo” dei nordafricani, oggi più che altro abitati da zingari, popolazioni di etnia rom, professionisti nell’arte dei furti e nel rovistaggio nei cassonetti. Rom che sfornano bambini, uno dietro l’altro, da mandare in giro a elemosinare, senza alcun rispetto delle regole e della legalità. Però, nessuno, nel palazzo di via Daniele Ricciarelli a Milano, prima d’ora si ricordava di un episodio simile: un padre che ammazza il suo bambino di pochi anni, soltanto per sfogare la propria rabbia, perché è notte e non riesce a dormire, visto che è strafatto di hashish e quindi decisamente su di giri.
Il croato 25enne l’altra notte era uscito e aveva fumato droga. Quando è rientrato, senza un motivo, è sceso dal letto e ha cominciato a picchiare il bambino. La madre ha provato a mettersi in mezzo, lo ha implorato: basta, così gli fai male. Ma quello non capiva niente e ha continuato a colpire. Poi, accortosi del disastro, ha chiamato i soccorsi e si è dato alla fuga con le due figlie femmine di 1 e 3 anni (il primogenito è in Croazia). Il dramma si è consumato all’alba. Alle 12.30 l’uomo è stato rintracciato dagli agenti della Mobile in un altro quartiere a casa di parenti: non ha opposto resistenza e ha confessato le proprie responsabilità. «Merita l’ergastolo», ha detto un prozio davanti ai cronisti. «È un uomo violento, io non gli parlo da due anni, da quando mi ha fatto del male».
Intanto l’alloggio Aler è stato sigillato (fino alla prossima occupazione). L’autopsia dirà, nei prossimi giorni, com’è morto il piccolo Daniel, che aveva i piedini fasciati forse per precedenti maltrattamenti. Le due sorelline sono state affidate ai servizi sociali e mamma Silvia, con precedenti per reati contro il patrimonio (come il marito) è rimasta sola a vivere l’attesa del quinto figlio.
di Osvaldo Trevi
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