Bobo Craxi, la guerra in Ucraina va avanti inesorabilmente, seminando morti e sofferenze indicibili. Una guerra atroce, di cui non si intravvede uno sbocco e, tantomeno la fine…
I russi pensavano che la guerra fosse poco più di un briefing. Non è andata evidentemente così e ora c’è il fondato timore che il suo prolungamento possa comportarne anche l’allargamento. Di fatto, una crisi regionale e territoriale è già diventata una crisi internazionale ed era inevitabile, visto che le economie sono interdipendenti l’una dall’altra. Questa guerra è figlia del capitalismo della globalizzazione o, se lo preferite, della globalizzazione in sé. Di una globalizzazione, che non ha saputo trovare un equilibrio politico, su cui fondare le sue ragioni.
Con quali conseguenze?
Siamo ritornati, come nel gioco del domino, da capo a dodici allo scontro fra le superpotenze, perché non esiste, e non può esistere, un equilibrio, fondato soltanto sulla libera circolazione delle economie. E’ inevitabile che, in assenza di un equilibrio prestabilito, i sistemi politici, entrino in contraddizione. Il male minore resta il raggiungimento di un punto di equilibrio fra le reciproche dipendenze. L’Europa, in questo momento, avrebbe bisogno di tempo per sciogliersi dalla dipendenza energetica dalla Russia. Neppure al tempo della guerra fredda noi eravamo così condizionati dall’economia russa. Con una battuta potremmo dire che si è avverata la profezia di Lenin, secondo la quale sarebbe stato il capitalismo a offrire la corda della sua impiccagione. In buona sostanza, è l’Occidente libero a essersi messo in una trappola, rendendosi troppo dipendente dall’economia russa.
Come si esce, ammesso che se ne possa uscire, dalla trappola in cui ci siamo messi?
Rinegoziando con la Russia i modi e i tempi di uscita dalla dipendenza. Non si può staccare da un momento all’altro la spina. E questo vale non solo per l’Occidente, ma anche per la Russia. Da una parte la riconversione ecologica dell’Occidente non può avvenire nei tempi che sarebbe necessari per liberarsi subito dal vassallaggio. Dall’altro, questa riconversione ecologica in itinere è motivo di preoccupazione e di sbandamento per la Russia. E’ per questo che la pace conviene a entrambe le parti. La Russia è una potenza nucleare che campa solo sulla vendita delle proprie materie prime. La Russia, di per sé, non produce niente.
La via per una pace, che converrebbe a tutti, la stanno inseguendo la Francia con Macron, che ha aperto un filo diretto con Putin e, in modo più sotterraneo, la Germania. Il nostro ministro degli Esteri Di Maio, ha prima dato a Putin dell’animale e poi, più che la pace, sta inseguendo forniture energetiche alternative…
La posizione italiana è debolissima non solo perché siamo il Paese più esposto dal punto di vista economico rispetto alla Russia, ma anche per una ragione più nascosta. Non ho ancora letto neppure un sondaggio, e credo non sia un caso, su che cosa pensano gli italiani. Purtroppo la fascinazione del neoimperialismo di Putin e quella fascio-cattocomunista influenzano la percezione che si ha di questa guerra. Gli italiani a me sembra siano sì genericamente contro la guerra e a favore della pace, ma sotto sotto non capiscano per quale ragione il popolo ucraino si stia dannando l’anima e non si arrenda.
Si parla molto, e da più parti, di responsabilità generali dell’Occidente. Restando dentro i confini di casa nostra, che cosa avrebbe potuto fare l’Italia nel suo piccolo per scongiurare la tragedia della guerra?
Abbiamo avuto in mano una carta, che non abbiamo voluto e saputo giocare. Putin, ben prima che la guerra scoppiasse, si è rivolto a noi, ha ricevuto i nostri imprenditori, ha chiesto a Draghi di fare da mediatore o comunque di esercitare un ruolo. Era in quel momento che noi avremmo potuto assumere una posizione fra virgolette neutralista e, quindi, diplomaticamente efficace. Nascondendo, invece, la testa sotto la sabbia, non siamo stati né carne, né pesce. Poco amici di Putin e poco non amici. Come a dire, coperti e scoperti. Inutili.
di Antonello Sette
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