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Brexit, Juncker gela Theresa May: l’accordo non si cambia



Probabilmente Winston Churchill si sta rigirando nella tomba di fronte allo spettacolo del premier Theresa May in tour per l’Europa, con il cappello in mano, a chiedere aiuto per il Regno Unito alle prese con la peggiore crisi politica della sua storia. Quel Paese che si è sempre considerato il regista del mondo, il deus ex machina della geopolitica internazionale, ora è costretto a fare il giro delle cancellerie europee per trovare alleati con i quali concordare un processo di uscita “onorevole” della Gran Bretagna dall'Unione europea. May è all'Aja per vedere il premier olandese Mark Rutte, poi sarà a Berlino per incontrare Angela Merkel e infine a Bruxelles, per colloqui con il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, e quello della Commissione, Jean-Claude Juncker. Ma questi ha già stroncato l’ipotesi di un piano B rispetto all’accordo già raggiunto. Riferendo alla Plenaria del Parlamento Ue sul prossimo Consiglio europeo, il Presidente della Commissione UE ha detto che alla riunione ci sarà un «Ospite a sorpesa: la Brexit. Sono sorpreso perché ci eravamo messi d'accordo con il governo britannico e a quanto pare ci sono problemi quando ci si avvicina alla meta». Poi ha ribadito in modo chiaro e lapidario che «L'accordo raggiunto è il migliore possibile, l'unico possibile, non c'è margine di manovra per nuovo negoziato».


Una doccia gelata per la premier May che in Parlamento è sotto assedio, ai minimi della sua autorevolezza. Con un intervento ai Comuni, accompagnato da urla di disapprovazione, risate fragorose e più parlamentari che hanno reclamato a gran voce le sue dimissioni, Theresa May ha dovuto rinviare il voto sull'accordo per la Brexit.

Nel frattempo spera di ridefinire le condizioni per l'attuazione anche solo teorica del meccanismo del backstop, la clausola di salvaguardia sul confine irlandese, attribuendo un ruolo al Parlamento britannico in modo da dare a questo strumento "legittimità democratica". Il backstop prevede che in mancanza di un accordo sui futuri rapporti tra le due sponde della Manica il Regno Unito resti in un unione doganale con l’Ue e l’Irlanda del Nord rimanga, invece, nel mercato unico dell’Unione in attesa di una soluzione. Un compromesso che non va giù a molti, in primo luogo agli unionisti nordirlandesi del Dup, preziosissimi alleati di governo con i loro 10 seggi in Parlamento. La premier ha ammesso di fronte ai Comuni che l'accordo sulla Brexit da lei sottoscritto con Bruxelles "verrebbe respinto con ampio margine" allo stato a causa dei dissensi sul tema del backstop. Ha sottolineato la rassicurazioni ricevute sul fatto che nessuno intende farlo entrare in vigore, ma ha riconosciuto che esse non bastano e che servono ulteriori chiarimenti.


Ora la May, nel tour d'incontri bilaterali avviati oggi con i leader di diversi Paesi dell'Ue punta a strappare qualche rassicurazione in più sul backstop sul confine irlandese per provare a rendere l'accordo sulla Brexit potabile da parte del parlamento di Westminster.

La premier ha ripetuto di essere impegnata a far uscire il Regno Unito dall'Ue "il 29 marzo 2019" e ha detto che intende tornare urgentemente a Bruxelles, questa settimana, per provare a ottenere ulteriori "rassicurazioni" sul tema del backstop, nella speranza di superare le riserve e le contestazione espresse al riguardo da una parte significativa della Camera. Ma non ha fatto riferimento a una scadenza per un nuovo voto che secondo la Bbc potrebbe avvenire in tempi relativamente ravvicinati, ma anche dopo la pausa di Natale, ossia a gennaio. La situazione ora è in standby anche sui banchi delle opposizioni, dove i responsabili di alcuni partiti minori, fra cui il LibDem Vince Cable, si sono detti pronti a votare in favore d'una mozione di sfiducia, laddove il leader laburista e dell'opposizione parlamentare, Jeremy Corbyn, dovesse presentarla. Ma senza negare che al momento tale mozione non avrebbe i numeri, in mancanza per ora del sostegno dichiarato di alcun deputato della maggioranza, neppure tra i conservatori più critici verso il governo sulla Brexit.


di Laura Della Pasqua

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