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Brexit, May: «Restare in UE non è opzione» ma il crack annunciato prelude al ripensamento


È l'11 dicembre la data senza ritorno: quel giorno la premier Teresa May proverà a far approvare a Westminster l'accordo raggiunto con l'Europa.

Ma i giochi non sono tutti sopra il tavolo: agli occhi di tutti, soprattutto del popolo che ha votato l'uscita dall'Europa, c'è la chiara volontà di rispettare il referendum. «Rimanere nell'UE non è un'opzione perché il popolo ha votato per uscirne», dice stamattina May durante un'audizione in commissione parlamentare sulla Brexit. Ma è vaga su quanto succederebbe se l'11 dicembre l'intesa europea venisse rigettata: «Vi sarebbero misure pratiche», dice, aggiungendo che ora bisogna «focalizzarsi sull'accordo».


Rimane aperta la questione sui confini tra Dublino e Belfast: l'Ue insiste sul "backstop", termine mutuato dal baseball che indica la rete di protezione che è una soluzione di sicurezza tra i due paesi e che permetterà di avere un confine non rigido tra le due Irlande, con Belfast che di fatto rimarrà, almeno dal punto di vista economico, nell'Europa dei 27. Il governo protesta dicendo che così si attenta all'integrità del Regno Unito e chiede che in caso di "no deal", cioè del mancato accordo, tutto il territorio britannico resti nel mercato unico, ma l'Ue non è d'accordo. Intanto cominciano ad arrivare i primi calcoli sul costo della Brexit. Per la Banca d'Inghilterra, se l'11 dicembre il Parlamento inglese rigetterà l'accordo europeo, si andrebbe incontro a una crisi economica senza precedenti: il Pil calerebbe dell'8 per cento solo il primo anno, il valore della sterlina crollerebbe facendo schizzare in alto l'inflazione e i tassi d'interesse sul denaro, mentre il valore delle case perderebbe il 30 per cento e la disoccupazione raddoppierebbe. Impatto negativo anche secondo il ministero del Tesoro di Londra: la Brexit concordata secondo il piano May costerebbe 4 punti di Pil in 15 anni, pari a 100 miliardi, 200 in caso di "no deal".


La politica legge i numeri e impallidisce: il Cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, ammette che per evitare problemi l'unica cosa da fare sia restare in Europa. Il partito del "labour", che finora non si era schierato per non inimicarsi il voto operaio euroscettico, la spina dorsale del no al referendum, parla di un secondo referendum; ma sono stati prontamente accusati da May di voler ignorare e rovesciare il voto popolare. Secondo un sondaggio del "Daily Mail" poi, l'elettorato anche conservatore chiede di dare fiducia al "piano May". I "tories" euroscettici continuano a pensare che l'accordo May con l'Ue sia un tradimento e continuano ad opporsi, accusando l'istituto bancario centrale di aver pubblicato quei dati catastrofici per spaventare l'opinione pubblica e per convincere i deputati a votare per la premier. Ecco quindi la mossa sotto il tavolo: con il no di Westminster al piano May, la Brexit "no deal" equivarrebbe a un suicidio portando molti a ripensare all'intera strategia e alla Brexit stessa. Insomma, come dire: nessun accordo con l'Europa. Torniamo in Europa.


di Paolo dal Dosso

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