Può l’ambito politico e quello del business avere una stretta correlazione con le tattiche di guerra?
A molti probabilmente può suonare strano, ma grazie a qualcuno questo punto di contatto si sta avvicinando a diventare sempre più una disciplina. Joe Santangelo, barese, ha vissuto due vite: nella prima era un kickboxeur affermato (un titolo europeo e due titoli mondiali). Nella seconda, dopo studi a vocazione internazionale, un manager di primo livello.
Abbiamo parlato del suo ultimo libro, “Business Combat Mindset. Manuale di Psicodinamica del Combattimento applicata al Business”, edito da Officina di Hank per la collana ToolBoox.
Santangelo, quali sono gli elementi che fanno da ponte tra il sistema del combattimento e il sistema del business?
«La psicodinamica del confronto studia le dinamiche psicologiche dietro i comportamenti dell’uomo in ambito competitivo, che si tratti di sport o di business. Nel testo, la correlazione è trattata in maniera molto dettagliata, e si sofferma sulla capacità di risoluzione delle criticità che lo sport offre al business. Non è un’invenzione mia, ma questa applicazione c’è da sempre. Forse non ce ne rendiamo conto perché li consideriamo come due ambiti molto distinti tra loro, ma nello sport e negli affari utilizziamo le stesse tecniche per avere ragione dell’avversario».
Lei parla di tre modi diversi di combattere. Quali sono?
«Il primo è il combattimento dove vince chi resta in piedi. Il secondo è combattere dopo aver vinto: in pratica entro nel campo da gioco solo per confermare la mia vittoria. Il terzo è vincere in assenza di conflitto. Quest’ultima tipologia è tipica dei monopolisti e del mondo della politica: gareggio da solo, per cui qualunque sia l’esito della mia scelta, ho vinto. Chi vince senza combattere non fa pubblicità della sua forza».
Sport e business, come si declinano questi due modelli di competizione?
«Nello sport vinci senza combattere quando sei un top player: basti pensare che Tyson per anni non ha trovato oppositori, oppure che quando vedi Bolt gareggiare sai che già vincerà. Questo modello è declinato in ogni ambito, anche in quello manageriale. Il manager non può non avere padronanza delle parole e della tempistica. Non può non avere calma e lucidità e gestione delle emozioni, che consente di prendere la giusta decisione».
Il suo è un libro pensato per un target medio-alto: manager, consulenti strategici, comunicatori. C’è quindi qualche tratto d’unione anche con la politica, specie con i leader?
«Certamente. Il libro è ottimo per chi abbia un lock interno molto solido, cioè una salda posizione di controllo. Il leader guida e si fa seguire verso un obiettivo, e lo fa con una direzione chiara. La vera chiave è essere prima di tutto leader di sé stessi. Per esserlo, devi avere chiarezza di te, conoscere i tuoi punti di forza e di debolezza, altrimenti costruisci sulla sabbia e non sulla roccia e hai delle nicchie di ricattabilità che alla lunga emergono. Questo libro ha l’ardire di insegnare a trovare e colmare queste nicchie, che possono essere l’attitudine alla menzogna (anche in buona fede), l’identificazione con un ruolo, l’immaginazione (incapacità di restare coi piedi per terra), il rumore (l’incapacità di tenere un basso profilo), la considerazione esteriore (giudicare esperienze e fenomeni in base a punto di vista soggettivo). Quando sei fuori da queste trappole, hai coscienza e, come fa un vero leader, anche politico, non prendei decisioni ma obbedisci al sogno. Così si creano gruppi che ti seguono, e se il sogno è grande i seguaci non faticano a prendere la strada che hai indicato».
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