Quella ferita nella carne viva di una città, fatta di cemento e filo spinato, quella terribile cicatrice se ne venne giù la sera del 9 novembre 1989. Sono per la precisione le 18,57 quanto in diretta televisiva Guenter Schabowski, membro del Politburo della Germania dell’Est, pronuncia le parole che aprono il Muro di Berlino. Rispondendo alla domanda di un cronista italiano dell’Ansa, Riccardo Ehrmann, Schabowski annuncia che «ci siamo decisi a varare un regolamento che permette ad ogni nostro concittadino di espatriare attraverso i passaggi di frontiera della Ddr». In quel preciso momento viene giù non solo il Muro, viene giù un regime ottuso che sembrava inamovibile e che pure aveva i piedi di argilla.
Dall’ultimo dei peones di questo parlamento rabberciato che per compiacere il populismo si è mutilato, al segretario di partito non c’è politico in Italia che non abbia ricordato la caduta del Muro. C’è stata una grande abboffata della parola libertà. Quasi stucchevole. Luigi Di Maio è perfino volato nella città tedesca per celebrare la rinascita della libertà. Insomma, il rischio terribile – di questo come di tutti gli altri anniversari peraltro – è quello della retorica. Che è poi, a ben vedere, la cortina fumogena ideale per erigere altri muri e barriere.
Riguardando le immagini di quel 9 novembre di trenta anni fa, che ci rimandano i volti di quegli uomini e donne che passavano dall’altra parte, si coglie negli sguardi la gioia, ma anche un incredibile stupore. Una inquietudine. Una incertezza dell’anima. E viene in mente Dante. “E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’acqua perigliosa e guata, così l’animo mio ch’ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva”. Nella Divina Commedia il Poeta descrive magistralmente lo stato d’animo di chi fortunosamente esce dalla “selva selvaggia e aspra e forte”. Ecco, la gente che quella sera di trenta anni fa attraversava il Muro doveva avere quello sguardo, fatto di speranza e timore assieme. E riavvolgendo il nastro di questi 30 anni quell’inquietudine si fa palpabile e viva. Perché non è bastato uscire fuori dall’acqua perigliosa. Perché come davanti a quei berlinesi ieri, anche oggi davanti a noi si apprestano “lonze leggere e preste molto”. Perché quell’acqua perigliosa è la stessa che affrontano gli immigrati sulle loro carrette malandate. Ma loro non hanno un Virgilio ad aiutarli, ma i porti chiusi grazie ai decreti sicurezza scritti da un governo che non c’è più ma che pure sembra non essersene mai andato.
Crollati sulle proprie contraddizioni i paesi dell’Est, si fantasticò di un periodo di pace e prosperità per il mondo. E invece il mondo è insicuro, forse più di ieri, attanagliato in una morsa in cui vecchie ingiustizie si sommano alle nuove. Nuovi muri, nuovi confini, nuovi conflitti. La Storia non è finita, come preconizzava trenta anni fa Fukuyama. Il liberismo nelle sua moderne declinazioni di iperliberismo e turbocapitaliamo non ha attenuato le ingiustizie e le miserie, ma le ha aumentate: nelle periferie del mondo ma anche in quelle delle metropoli occidentali, nelle banlieue dove l’odio etnico è alimentato dalla disperazione sociale. E se la Guerra Fredda del passato non c’è più, se non c’è più il Checkpoint Charlie, se anche James Bond è andato mestamente in pensione ci sono tante guerre fredde (e non solo fredde) che attraversano il pianeta. Guerre commerciali – i dazi di Trump, su cui adesso sembra ci sia una schiarita, ma fino a quando? - da una parte e guerre guerreggiate dall’altra. Che infiammano il Medioriente: i curdi sono i palestinesi del terzo millennio, l’occidente li ha blanditi fino a che sono stati utili e poi si è girato dall’altra parte per permettere al Calliffo Erdogan di chiudere i conti con questo popolo senza patria.
Nessuno dei politici e commentatori che oggi ha ricordato la caduta del Muro ha rammentato che sempre il 9 novembre, del 1938 stavolta, su ordine di Goebbles la giovenù hitleriana e gli ufficiali del partito nazista si scatenavano, in Germania, in Austria e in Cecoslovacchia contro gli ebrei: 1406 sinagoghe venivano distrutte, i cimiteri profanati, i negozi bruciati. Quella storia ritorna, pericolosa e inquietante, a bussare alle nostre porte. 81 anni dopo la “notte dei cristalli” a Dresda è stato dichiarato lo “stato di emergenza nazismo”, perché in quella città della ex Germania dell’Est vengono alla luce atteggiamenti antidemocratici che arrivano fino alla violenza. L’estrema destra anti-islamica e anti-immigrazione, Adf, alle ultime regionali in Sassonia ha superato il 20 per cento dei consensi. In Spagna dove oggi si vota l'estrema destra di Vox punta a raddoppiare i suoi seggi in Parlamento.
E in Italia non è che vada meglio. La senatrice Segre, sopravvissuta ai lager nazisti, è quotidianamente fatta oggetto di vergognosi attacchi sui social e ciononostante la commissione contro il razzismo, l’antisemitismo e l’odio voluta dalla senatrice a vita è stata approvata da Palazzo Madama solo a maggioranza e non all’unanimità. Leghisti e fratelli d’Italia non si sono nemmeno alzati in piedi per applaudire l’anziane signora. Ma giurano e stragiurano Matteo Salvini e Giorgia Meloni che loro non sono antisemiti. Adesso la Segre è sotto scorta e il solito Salvini ci fa sapere che anche a lui «è appena arrivato un altro proiettile», Ma, che diamine e ci mancherebbe! «non piango» dice Salvini. Figurarsi se piange uno che è stato capace di trasformare i grani del rosario in sassi da lanciare sugli avversari, usando la religione e la fede come spot per la sua propaganda.
Pensavamo quando 30 anni veniva giù il Muro e, negli anni immediatamente seguenti crollavano i regimi socialisti come un castello di carte, che la democrazia avrebbe avuto il vento in poppa. E invece la democrazia è sempre più parola vuota. L’intolleranza e la voglia di muri reali o ideologici è forte. Va dal Messico dove Trump butta i soldi dei contribuenti americani per fermare i latinos, agli altipiani del Friuli, dove qualche mese fa il governatore leghista Fedriga voleva tirar su un bel muro di 230 chilometri per bloccare gli immigrati.
Scriveva Francesco Alberoni in un libro del 2001, “Il mio pensiero, la mia vita” che «il crollo del muro di Berlino e del sistema sovietico non è avvenuto sotto la spinta di un movimento con grandi ideali. E’ avvenuto perché la gente aveva visto in televisione i beni di consumo occidentali, ha capito che bastava fare 100 metri per andarli a comperare». Analisi decisamente cinica per uno che è stato poi – anni dopo - folgorato dal sovranismo e dalla retorica patriottarda, ma tant’è. Par di capire che quello che più mancava ai cittadini dell’est non erano solo o tanto le libere elezioni e la democrazia ma avere frigoriferi e tv che non costassero un occhio della testa e si rompessero alla prima occasione. Sarà.
Adesso Tv e frigoriferi costano un po’ di meno, non si rompono più perché li fanno in qualche fabbrica cinese per tutto il resto del pianeta ma il mondo non ha trovato il suo equilibrio. E meno che mai libertà, benessere e pace.
Giampiero Cazzato
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