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«Camilleri è la ragione che mi ha fatto amare il mio lavoro», il ricordo dello sceneggiatore De Mola

Aggiornamento: 3 gen 2020

«Se potessi, vorrei finire la mia carriera seduto in una piazza a raccontare storie e alla fine del mio cunto passare tra il pubblico con la coppola in mano». Non conosciamo gli ultimi istanti della vita dell'uomo, ma di certo Andrea Camilleri, 93 anni, da un mese ricoverato all'ospedale Santo Spirito di Roma in seguito a un arresto cardiaco, ha chiuso la sua vita di scrittore proprio come voleva; raccontando storie, creando personaggi, intersecando eventi reali e non, sempre con l'attenzione del pubblico che pendeva dalle sue labbra. Si è spento questa mattina, poco dopo le 8, e già qualcuno si domanda come sarà il mondo senza di lui. «Il personaggio Camilleri, e di conseguenza Montalbano, sono stati per diciott'anni della mia vita un'oasi di serenità. Un motivo per dire a me stesso “ho fatto bene a fare questo mestiere”». Il ricordo di Salvatore De Mola, sceneggiatore della fortunata serie televisiva Il Commissario Montalbano, tratta dai celebri romanzi del Maestro di Porto Empedocle, è tenero e allo stesso tempo colmo d'ammirazione, di chi per anni ha potuto lavorare con «un grande uomo, che rivelava la sua grandezza con una profonda umiltà e sensibilità d'animo».


Andrea Camilleri

Che ricordo conserva dell'uomo Camilleri?

«Non posso ritenermi un suo amico, essendone stato un collaboratore, ma considero Andrea Camilleri una straordinaria persona ancor prima che uno straordinario scrittore, un qualcosa che non sempre capita di riscontrare nel nostro ambiente. Lo si capisce dal modo in cui tratteggiava i suoi personaggi, dal modo in cui dava loro vita. I personaggi di Camilleri sono veri, senza traccia di finzione e artificiosità, al punto che non riscontravamo problemi nel trovare attori siciliani che li interpretassero con naturalezza. Il ricordo che ho di lui è di una persona estremamente carina e disponibile, umile e per nulla pieno di sé e della sua fama. Per diciott'anni della mia vita Camilleri e Montalbano sono stati per me un'oasi di serenità e divertimento, una ragione che mi ha spinto a pensare “ho fatto bene a fare questo mestiere”. Oggi purtroppo dovrò trovare una nuova ragione a giustificazione della mia vita lavorativa (sorride, ndr). Può apparire banale dirlo oggi, ma si tratta di una persona davvero eccezionale.»


Salvatore De Mola

Come si relazionava con voi sceneggiatori sul lavoro? Era geloso delle sue “creature”?

«Era disponibile in tutto, anche ai cambiamenti se necessari. Al contrario di quanto può succedere quando si lavora con gli scrittori, che possono tendere a trincerarsi dietro le loro creazioni, Camilleri era pronto a cambiare per il bene del progetto. Le rare volte che una nostra idea veniva considerata migliore, non si faceva alcun problema e questo ci ha sempre conferito grande serenità. Un'altra caratteristica del Camilleri "supervisore" era la sua impressionante memoria unita alla conoscenza del mondo da lui creato: quando abbiamo girato Il Giovane Montalbano, con l'idea di approfondire ancora di più tutto l'universo legato ai suoi romanzi, ci capitava spesso di venire "ripresi" e corretti. “Professore – come lo chiamavamo per via del suo passato da docente all'Accademia nazionale d'arte drammatica – dove è nato Montalbano?” E lui, appena appena stizzito, “ma come! È nato a Catania, poi si è trasferito a Vigata”. Per non parlare poi del profilo del protagonista, il commissario, di cui conosceva tutto, come e più di una persona reale, come lo considerava a tutti gli effetti.»


Ha un aneddoto sul lavoro che ricorda con piacere?

«Deve sapere che per l'ideazione delle puntate de Il Commissario Montalbano, oltre ai romanzi, utilizziamo anche i racconti scritti da Camilleri. Facciamo questa cosa ormai dal 2001, per cui sono rimasti solamente i racconti più brevi che fondiamo tra loro e a cui aggiungiamo elementi che invece dobbiamo inventare noi. Poiché da qualche anno il professore non ci vedeva più e non poteva quindi leggere le sceneggiature, si era venuto a creare questo rito per cui uno di noi, o un gruppo di noi, a turno, andavamo a leggergli i copioni. Ricordo una delle ultime volte in cui, dopo la lettura e una delle sue consuete pause di riflessione, mentre noi ci struggevamo in attesa di conoscere il suo giudizio, ci disse: “In questa sceneggiatura non c'è nemmeno una parola che ho scritto io”. Gelo nella stanza, come può immaginare (ride, ndr). Ma subito dopo, per nostra fortuna, “ma mi piace”. Scene simili accadevano spesso, alle volte ci faceva complimenti espliciti, alle volte qualche appunto, ma sempre su singole cose.»


Quella volta in cui avete dovuto fare dietrofront su sua esplicita richiesta?

«Credo sia successo un'unica volta. Stavamo lavorando alla trasposizione di uno dei romanzi, in cui, in seguito alle condanne agli agenti coinvolti nei fatti della scuola Diaz del G8 di Genova, il commissario Montalbano decide di dare le dimissioni, salvo poi essere convinto dal collega e amico Augello a tornare sui suoi passi. Noi come sceneggiatori, non per censura o autocensura, ma per non legare troppo la vicenda ad eventi storici, per mantenere quindi quella dimensione "sospesa" che caratterizza tutta la serie, avevamo deciso di non includere questo dettaglio. In quel caso Camilleri volle che fosse ripristinato il testo originale e così avvenne senza alcun ostacolo da parte nostra.»


Di lui si è sempre detto che avesse una particolare attenzione e dedizione nell'utilizzo della lingua siciliana. Come trasmetteva tutto questo nella trasposizione cinematografica?

«Premessa: io sono pugliese, Francesco Bruni (sceneggiatore, ndr) è toscano, l'altro sceneggiatore, arrivato negli ultimi anni, è anche lui toscano e Luca Zingaretti è di Roma. Diciamo che in quanto a rappresentanza non era facile mantenere fedeltà al registro linguistico. Però c'era lui a correggere i copioni, in particolare gli ultimi. Ci teneva molto, almeno sul piano della sceneggiatura, che ci fosse fedeltà col siciliano e che l'impronta fosse quella letteraria che lui dava ai suoi scritti.»


È capitato che comparisse sul set durante le riprese?

«No, almeno da quando io ho iniziato la collaborazione. Oltretutto i set sono quasi sempre in Sicilia e per lui, che non stava già bene da qualche anno, non era semplice spostarsi. È capitato che quando ancora si giravano gli "interni" negli studi cinematografici di Roma, abbia fatto qualche visita. C'è anche una foto a testimoniarlo, con lui all'interno dello studio del giovane Montalbano insieme a Michele Riondino e altri attori della serie.»


Accanto al grande artista c'era poi l'uomo, sempre schierato dalla parte degli ultimi, schietto e senza peli sulla lingua quando c'era da prendersela coi potenti di turno…

«Senza dubbio Camilleri non era uomo insensibile agli avvenimenti di cronaca e attualità politica, né incline a nascondere il proprio dissenso. Era sicuramente molto arrabbiato per la piega che gli eventi hanno preso nell'ultimo periodo qui in Italia. Ricordo a proposito un episodio: come saprà nell'immaginaria Vigata coesistono due famiglie di mafiosi, i Sinagra e i Cuffaro. Per motivi di opportunità noi sceneggiatori avevamo cambiato il cognome ai Cuffaro, ma lui non volle sentire ragioni e pretese che venisse rintrodotto quello volutamente scelto. Nessuno dei nomi che compaiono nei romanzi di Montalbano è casuale: ad esempio Catarella prende spunto da Tatarella, così come Augello deve il suo nome alla sua fissazione per le donne. Lo stesso Montalbano deve il suo nome allo scrittore Manuel Vazquez Montalban. Comunque Camilleri era un realista, mai incline alla partigianeria o alla faziosità. Per lui era centrale il rispetto della dignità dell'uomo, in particolare degli ultimi, i più deboli e oppressi. Anche lo scorso anno, mentre lavoravamo alla puntata tratta dal romanzo L'altro capo del filo, che trattava il tema delle migrazioni nel Mediterraneo, il ruolo dei migranti, appunto gli ultimi, era centrale. Per noi lavorare a quell'episodio in particolare, in quel particolare momento, è stato molto importante, così come riuscire a mandarlo in onda, cosa che comportò qualche problema.»


Montalbano è divenuto negli anni un fenomeno internazionale: mai avuto modo di constatarlo di persona?

«Un paio di anni fa mi trovavo a San Francisco per presentare un film in occasione di una rassegna dedicata al cinema italiano. La pellicola si chiamava La stoffa dei sogni (vincitore del David di Donatello 2017 per la miglior sceneggiatura, ndr) e ovviamente, quando si trattò di articolare il dibattito dopo la visione del film, tutte le domande che mi rivolsero erano riferite a Montalbano. Questo, oltre a dare un senso della statura di Camilleri e della sua opera, certifica un grande successo avuto dalla serie negli Stati Uniti. C'è una vera e propria passione per Il Commissario Montalbano e grande attesa ogni anno per l'uscita dei nuovi episodi.»


Il capitolo conclusivo della "saga" di Montalbano è custodito in una cassaforte della Sellerio, come da precise disposizioni dell'autore. Gli ammiratori della serie televisiva possono aspettarsi un epilogo tratto da quel libro?

«Per ora non lo sa nessuno questo. Si vocifera che all'interno del libro ci sarebbe una scena, una vicenda degnamente pirandelliana, in cui l'autore stesso, il "vero" Montalbano e la sua trasposizione romanzesca si incontrano e hanno un dialogo. Rendere tutto ciò a livello cinematografico non sarebbe semplicissimo. Quello che mi auguro è che si riesca a fare un'altra stagione in modo da concludere con le storie più belle e che diano un degno epilogo a questa serie.»


Cosa si porterà dietro di Camilleri Salvatore De Mola?

«Quando il mio amico Francesco Bruni nel 2001 mi contattò perché aveva bisogno di un aiuto nella scrittura della serie, non immaginavo che sarebbe stata la mia oasi di serenità per diciotto anni. Per la verità nessuno di noi lo immaginava. Non posso che ritenermi enormemente fortunato e grato per aver potuto conoscere e aver collaborato con una persona così. Sono stati diciotto anni di crescita, di un sacco di cose imparate, soprattutto sotto il profilo umano, frutto di un rapporto che seppur molto raro con lui come persona, è stato enormemente proficuo e istruttivo nel continuo confronto avuto con la sua scrittura.»



di Alessandro Leproux

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