Come se non bastassero i problemi interni al Movimento 5 Stelle post disfatta elettorale e quelli di convivenza con la Lega, la Tav, assieme alla questione della riapertura dei cantieri, torna puntuale ad assorbire l'attenzione di ministri e addetti ai lavori. Bersagliato a più non posso, dai suoi stessi colleghi (vedasi silenzio assenso del sottosegretario Buffagni a specifica domanda se il ministro facesse perdere voti ogni qual volta proferisce parola), addirittura oggetto di una mozione di sfiducia a firma Pd, il titolare dei Trasporti e delle Infrastrutture Danilo Toninelli rappresenta al momento la sintesi perfetta delle condizioni di salute del primo partito al netto del voto del 4 marzo. A riaprire una ferita che mai si rimarginerà e dal cui sanguinamento, in molti scommettono, dipenderà la fine di questo esecutivo, ci hanno pensato le solite, immancabili contraddizioni nella comunicazione, l'arma in più per arrivare all'ambito scranno del potere, volatilizzatasi una volta divenuta indispensabile per mantenerlo. Se a qualcuno aveva già fatto drizzare i capelli leggere pochi giorni fa che il premier Giuseppe Conte ancora non aveva posto l'attenzione sul dossier Tav, il più mediatico tra i nodi che separano le due facce del governo in carica, le ultime dichiarazioni del titolare di Palazzo Chigi hanno confermato come, in fin dei conti, né tra ministri né tanto meno tra colleghi della stessa sponda vi sia una linea chiara e condivisa su come gestire la vicenda legata alla maxi opera. Le dichiarazioni vanno dall'oltranzismo messo in mostra ieri dal senatore Airola, che senza mezzi termini ha annunciato la propria uscita dal Movimento se questo dovesse cedere alla Lega anche sulla Tav, argomento di campagna elettorale su cui si è puntato (e ottenuto) molto. Esiste anche però una frangia, più silenziosa e attendista, di possibilisti, favorevoli al cosiddetto compromesso caldeggiato dai leghisti. E qui viene fuori la mini-Tav. Come suggerisce il nome, altro non sarebbe che un ridimensionamento del progetto originale, volto a contenere le perdite italiane evidenziate dall'analisi costi/benefici redatta dalla squadra di Marco Ponti. Proprio in aggiunta a questo documento, sarebbe arrivata nelle scorse ore un'integrazione dell'analisi sulla scrivania del premier, che secondo quanto riportato in un colloquio con un giornalista del La Stampa, avrebbe proferito le fatidiche parole: «L'opera non si può bloccare». La mini-Tav consentirebbe, secondo tale nuova analisi, di passare da una perdita stimata in 7 miliardi ad una di 3,5 (escludendo il passivo a carico della Francia e dell'Ue), sventando l'ipotesi dell'annullamento dei contributi da parte dell'Europa (300 milioni) e sbloccando i bandi di Telv, la società pubblica franco-italiana deputata a dirigere i lavori per la Torino-Lione. Incalzato dalle voci, il premier Conte ha prontamente smentito, tramite consueta nota emanata da Palazzo Chigi, di aver preso lui il timone delle operazioni e di aver richiesto un'ulteriore analisi sul dossier Tav, rimandando piuttosto a «un contributo che è stato sollecitato dal Mit». Dal canto suo Toninelli tiene duro e insiste che, anche qualora passasse la versione "light" dell'opera, questa sarebbe assolutamente sconveniente, considerato il responso dell'analisi integrativa che fornirebbe «un risultato comunque molto negativo - circa -2,5 miliardi nello scenario realistico».
A imprimere un colpo decisivo, sperano dalle parti della Lega, potrebbe essere il referendum consultivo per i soli cittadini del Piemonte, voluto anche dal governatore Pd Chiamparino, anche se stando allo Statuto regionale della regione Piemonte (art. 86) ci troveremmo di fronte a un referendum-bonsai che interpellerebbe soltanto un campione di cittadini.
di Alessandro Leproux
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