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Capezzone, Theresa May non ha colto opportunità di Brexit ma l'ha vissuta come un danno da ridurre



Daniele Capezzone, ex deputato del Pdl, dei Conservatori e Riformisti, intellettuale, “atlantista, pro mercato, liberale classico”, e arguto opinionista, ora per “La Verità” di Maurizio Belpietro, dove conduce anche una rassegna stampa “politicamente scorretta” con il professor Marco Gervasoni, su Brexit fece uno “scoop”. Il libro suo e di Federico Punzi “Brexit. La sfida” (Giubilei Regnani editore), ora anche in versione ebook, sul ritorno delle Nazioni e della questione tedesca, solo a un occhio sprovveduto potrebbe apparire come un inno al cosiddetto sovranismo. È invece uno sforzo di analisi e di ricerca per capire il sommovimento profondo nella società inglese che portò al “Leave”. Ora avverte: «In Inghilterra come in Italia o in Usa, gli sconfitti di questa fase anziché prendersela con i vincitori e quindi con gli stessi elettori che votarono per Brexit, per Trump o Salvini ed Orban, sarebbe bene che si sforzassero di capire perché invece hanno perso».


Capezzone, dopo la bocciatura dell’accordo realizzato da Teresa May con la Ue, che opinione si è fatto? Qui i critici di “Brexit” paventano sfracelli e invocano un secondo referendum per cercar di rimettere a posto le cose.


Io trovo che ci sia sempre più anche in Inghilterra una divaricazione tra gli elettori da un lato e dall’altro lato segmenti di classe dirigente che sembrano spaventati dalla democrazia.


Teresa May

Bel paradosso.


Spiace dire che la prima ministra Teresa May, comunque finisca questa vicenda, ha vissuto Brexit non come una opportunità da cogliere, ma come una specie di danno da ridurre, da limitare. Tutto il suo approccio anziché essere stato volto a utilizzare un’occasione, è stato un approccio di minimizzazione del rischio. Mi piace pensare cosa avrebbe fatto la Signora Thatcher. E cioè esattamente il contrario.


Come si sarebbe mossa “Iron Lady”?


Avrebbe invece valorizzato l’occasione e cercato una trattativa più dura con Bruxelles.


Margaret Thatcher, il cui celebre discorso di Bruges lei e Punzi riportate nel libro, non mi sembra fosse orientata esattamente verso tesi isolazioniste tout court ma aperta ai valori profondi, a cominciare dalle radici giudaico-cristinane, della Storia e cultura europea.


Attenzione, lei fa un ampio ragionamento. Da un lato, essendo stata un gigante della cultura atlantista e occidentale, rivendica tutto intero il contributo dell’Inghilterra a quella cultura, dalla Magna Charta in poi. È un millennia di reinvenzione della democrazia parlamentare e del costituzionalismo moderno. Dall’altro lato, e qui secondo me può essere un riferimento anche per l’oggi, nel discorso di Bruges del 1988 lei indica la strada che l’Unione Europea dovrebbe perseguire.


Quale strada indicava Thatcher valida anche per l’oggi?


Quella del riconoscimento delle diversità nazionali. Questo può essere un riferimento anche per i sovranisti, un riferimento però conservatore e liberale. E cioè: l’Europa non deve essere il centro di imposizione di una innaturale omogeneità, di una specie di omogeneità forzata, imposta da Bruxelles, ma deve essere un riconoscimento delle diversità. Lo traduco con parole mie…


Prego.


L’Europa è qualcosa che va dalla Finlandia al Portogallo, dalla Germania alla Grecia. Ci sarà una differenza tra finlandesi, portoghesi, tedeschi e greci, ci sarà, per dire, una differenza tra un signore molto magro e uno molto grasso, non puoi imporre a tutti un vestito della stessa taglia, uno intelligente sa adattare a ciascuno il vestito della sua misura.


Ma il timore, come lei sa molto meglio di me, è che l’apertura della breccia Brexit potrebbe far crollare tutto il “castello” della Ue.


Ma la mia diagnosi è che è venuto già tutto giù, a causa della pretesa di chi per anni ha detto: va tutto bene, ci vuole più Europa, più integrazione a Bruxelles, in modo meccanico e burocratico. Hanno detto di no per trent’anni alle opposizioni di euroscetticismo liberale, adesso fanno i conti con una posizione di euroscetticismo sovranista. Per anni, per fare un esempio, l’intellighezia italiana si è rifiutata di discutere con Antonio Martino, persona autorevole e rispettata, le sue tesi di euroscetticismo liberale, thatcheriane. Sono le posizioni che Punzi e il sottoscritto nel loro piccolo cercano di esporre.


Thatcher e un altro gigante come Bettino Craxi sulla Ue ebbero qualche tensione. Ma Craxi pur europeista convinto vide pericoli, puntualmente avveratisi, sul modo come la Ue si stava costruendo.


Nella loro diversità però entrambi, ciascuno dal proprio punto di partenza, Thatcher una conservatrice e Craxi un riformista italiano, quindi due approcci molto diversi, però arrivarono a critiche analoghe. E oggi rileggere le cose che Craxi scrisse ad Hammamet (“Uno sguardo sul mondo”, a cura della Fondazione Craxi, Mondadori editore ndr) sull’Europa e su quelli che io chiamo gli eurolirici, conferma che lui aveva visto giusto.


L’Italia però non è l’Inghilterra o gli Usa, oggi è una piccola potenza. Il rischio di un isolamento non potrebbe colpirla di più?


Ma a me non risulta, e lo dico da osservatore esterno alla politica, che ci sia oggi nessuna forza politica che proponga un’uscita dall’Europa…


La Lega di Matteo Salvini infatti non lo vuole.


Assolutamente. Il tema che tutte le forze politiche, ognuna dal proprio punto di vista culturale, potrebbero mettere in agenda è proprio quella che io chiamo una rinegoziazione. E qui il legame è con Brexit. Piccolo passo indietro. Prima del referendum inglese del giugno 2016 David Cameron per 6 mesi cercò una rinegoziazione. Gli fu offerto da Bruxelles un accordo misero. Era chiaro che gli elettori lo avrebbero respinto. Perché l’Europa non si interroga se sia stato saggio offrirgli un accordo misero? Non era meglio offrire a lui e pure agli altri 27 Paesi maggiore flessibilità e maggiore rispetto per le diversità?


Come accade in Italia e in Usa o altrove la sensazione che si ha è che quando i gruppi dirigenti, prevalentemente di sinistra, sono sconfitti invece di accettare il verdetto delle urne vogliano come cercar di cambiare gli elettori. E riprovarci ancora finché non arriva la vincita giusta, per loro.


È così. Infatti, gli sconfitti di questa fase, con i giornali che li sostengono, stanno tutti a criticare Trump, Brexit, Salvini, Orban ecc. Il mio umile suggerimento agli sconfitti di ora è di non occuparsi di loro ma degli elettori e domandarsi perché prima ancora che premiare i nuovi leader stiano punendo, sanzionandoli in modo feroce i vecchi gruppi dirigenti. Ma dovrebbero farlo in modo profondo, in modo serio.


Come avete cercato lei e Punzi di fare con il vostro libro per capire cosa fosse successo agli elettori inglesi.


È un libro di dubbi, di punti interrogativi, non di tesi precostituite.


Parlavamo prima di Craxi. A proposito dello statista socialista, il 19 gennaio è il diciannovesimo anniversario della sua morte a Hammamet. È l’ultimo anniversario prima del ventennale che ricorre il prossimo anno. E purtroppo non mi sembra che in Italia siano stati fatti grandi passi in avanti sul riconoscimento della sua figura.


Finché non ci sarà un momento di verità su quella campagna di aggressione e di mostrificazione, i farisei e gli ipocriti, come li chiamava lui, dovranno fare i conti con una loro sconfitta storica. Perché non sono riusciti a dire la verità sull’eliminazione di alcuni settori di una classe dirigente, che, ben al di là dei finanziamenti ai partiti e degli articoli del codice penale che venivano in quel momento maneggiati, dovevano essere eliminati a ogni prezzo. Nella cosiddetta Prima Repubblica ci furono i sommersi e i salvati.


Dalla Storia alle cronache romane. Cosa pensa di questa nuova cena di cui tutti parlano?


Io consiglio a tutti, a maggioranza e opposizione, di cenare a casa propria. Si mangia meglio e si spende meno.


di Paola Sacchi

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