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Cara Cinecittà


di Michele Lo Foco

Il quotidiano “Repubblica” ha messo nel mirino Cinecittà con un articolo a tutta pagina che denuncia costi fuori controllo, acquisti non previsti e proteste popolari per la cementificazione del manto verde.

Il fatto che sia proprio Repubblica a parlarne con toni così accesi dimostra che anche la sinistra si è resa conto della pericolosità di questo progetto e di questa gestione.

Era ora, visto che personalmente da mesi ho avvertito che la strada intrapresa da Franceschini, solo per appropriarsi dei soldi del PNRR, era completamente strumentale e di nessun pregio.

Eppure, non più di qualche giorno orsono, era circolata la notizia che l’amministratore di Cinecittà era andato a genuflettersi dalla Meloni per ottenere i suoi favori e la nomina di un consigliere a lui favorevole, addirittura il figlio di Ciriaco de Mita, ovviamente a digiuno della materia.

Ma quello che non è stato sottolineato dal quotidiano, e che è ben più grave, è che tutta la strategia di Cinecittà è sbagliata e antistorica, basata come è sull’affitto e sulle lavorazioni, in dipendenza diretta dal tax Credit, cioè dalle facilitazioni statali.

Premesso che come prima azione Cinecittà ha affittato gran parte dei capannoni ad una struttura straniera, per la quale prima lavorava Maccanico (infatti talvolta, per ottenere gli spazi, le aziende italiane devono rivolgersi agli stranieri che subaffittano), ha poi proseguito nel disegno di ampliamento in un diverso terreno dei teatri, duramente contestato, nella convinzione di poter diventare il “Grand Hotel” dei produttori internazionali.

La realtà è che Franceschini ha rilevato l’azienda Cinecittà, pagandola molto, da Luigi Abete, che l’aveva ridotta ad un rottame, mentre avrebbe potuto sfrattarlo, visto che non pagava da lungo tempo i canoni d’affitto. Perché ha buttato i soldi dello Stato invece di agire? Probabilmente perché voleva riappropriarsi subito dell’unica struttura che gli avrebbe consentito di attirare i fondi del PNRR, anche se quei fondi, secondo il piano industriale, sarebbero serviti ad uno scopo del tutto privo di attualità.

In America gli “Studios”, che non hanno il carburante del tax Credit come in Italia, producono e si alleano con le piattaforme, mentre in Italia è sempre lo Stato ad elargire e a perdere, in una specie di masochistico atteggiamento culturale che oltretutto non porta ad alcun risultato di rilievo. L’amministratore è ora alla ricerca di investitori privati che aiutino Cinecittà a sopportare i costi non previsti: ma chi mai potrebbe pensare di mettere i capitali in un’azienda dotata solo di un buon nome? Forse sempre lo Stato mascherato da Rai, o da Cassa Depositi, o da Poste! Analogamente anche il Centro Sperimentale cerca di giustificare l’investimento “impensabile” nel Cinema Fiamma, chiuso da anni e totalmente da ristrutturare: ma nessun ragionamento può essere in grado di dare una risposta al perché sia stata fatta una simile impresa, dal momento che esiste già una sala diciamo istituzionale e comunque decine di sale erano e sono a disposizione di chiunque voglia affittarle. Anche in questo caso la Corte dei Conti avrà pane per i suoi denti se non proceduta dalla Magistratura, ma anche in questo caso, comunque, la cultura sarà servita per qualche interesse di stampo commerciale.


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