Seduto ai tavolini dell’Antico Caffè Greco, Carlo Pellegrini ci racconta di quando, qualche anno fa, il regista americano Martin Scorsese, attraverso il suo staff, chiese di prenotare tutto lo storico locale di via Condotti. «Gli dicemmo che se voleva riservarsi una sala non c’era problema e ne saremmo stati onorati, ma tutto il locale no. Per una questione di rispetto dei nostri clienti. La cosa fini lì e non ce ne facemmo un cruccio». Un episodio tra i tanti che l’amministratore dell’Antico Caffè Greco s.r.l. custodisce nella memoria. Un episodio che spiega bene il carattere dell’uomo, la sua morale, e la tenacia della battaglia per preservare quella che è a tutti gli effetti la più grande galleria d’arte privata aperta al pubblico esistente al mondo. All’interno vi si trovano più di 300 opere d’arte. E chiudendo gli occhi l’avventore, ma forse è più corretto dire il visitatore, con un po’ d’immaginazione può rivedere lo scrittore russo Nikolaj Vasil'evič Gogol chino al lavoro sulla sua opera più importante, “Le anime morte”, o seguire Renato Guttuso mentre si aggira per la Sala Rossa per trovare l’ispirazione per quello che diventerà nel 1976 il suo celebre dipinto “Caffè Greco”. E vedere il mitico Buffalo Bill che, giacca e stivaloni di pelle inforca via Condotti e varca la soglia. O, ancora, il poeta romanesco Cesare Pascarella che lì si riuniva con gli altri cultori del vernacolo. Rockstar e teste coronate (per tutti Lady Diana), uomini di Stato e artisti bohémien. Sono così tanti i frequentatori illustri del locale - che nasce nel lontano 1760 quando il levantino Nicola della Maddalena tira su l’insegna del Caffè - che non basterebbe un solo libro per elencarli tutti. L’aroma di caffè – e che aroma – e l’odore della storia e dell’arte si respirano appena si entra nel locale.
Una storia che rischia di essere travolta il 22 ottobre, data dello sfratto esecutivo con le forze dell’ordine. Una cosa che offende Pellegrini e la moglie, la signora Flavia Iozzi, proprietaria dello storico bar acquistato ormai da più di venti anni, che, assistiti dall’avvocato Nicola Paglietti, non cedono allo sconforto e annunciano, anzi, battaglia. Assicurando che loro, sfratto o non sfratto, il 22 apriranno le porte del locale. L’edificio dove si trova il caffè è infatti di proprietà dell’Ospedale Israelitico (che lo ha avuto in lascito circa 100 anni fa), che non soddisfatto dell’affitto di tutto rispetto che l’Antico Caffè Greco s.r.l. gli versa ogni mese, circa 17 mila euro, pretenderebbe sette volte questa cifra. Centoventimila euro, una somma da capogiro. Una somma non solo fuori mercato ma che non tiene in considerazione un fatto centrale: nel 1953 il locale è stato sottoposto a tutela dal Ministero dei Beni Culturali con un decreto. Non vi si può fare quel che si vuole. «Non lo dico io – spiega Pellegrini – lo prescrive la nostra Costituzione agli articoli 41 e 42, dove c’è un esplicito riferimento ai limiti posti alla proprietà privata proprio allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Qui è in gioco una azienda “Antico Caffè Greco che esiste da 260 anni ininterrottamente e che da 260 anni esercita attività di caffetteria».
Alla notizia dello sfratto il mondo della cultura ma anche i cittadini comuni si sono mobilitati. E l'associazione Roma Tiberina, che si batte, con Italia Nostra e altre associazioni perché il Caffè Greco continui la sua attività storica, ha organizzato una maratona culturale nella Sala Rossa del Caffè. Ingegnere Pellegrini si aspettava una reazione così corale della cittadinanza?
«Era la nostra speranza, eppure siamo rimasti stupiti nel vedere una città, il mondo della cultura e dell’arte stringersi attorno a noi. La gente si ferma, chiede ci porta solidarietà ed affetto. E messaggi di sconcerto per quel che sta accadendo ci arrivano da ogni parte del mondo. E’ incredibile che una società che va sempre meglio possa essere sfrattata…. Siamo convinti che la nostra sia una battaglia giusta e che la vinceremo. Ci auguriamo si raggiunga una soluzione con buon senso reciproco, anche grazie al Ministero dei Beni Culturali, che ha garantito il proprio intervento, alla Regione Lazio e al presidente del I municipio, Sabrina Alfonsi, che si sta interessando al caso. C’è una sentenza di primo grado sfavorevole, però è una sentenza di primo grado del Tribunale delle locazioni. Il 14 novembre è previsto l’appello in Cassazione. Ecco perché è davvero inconcepibile che senza nemmeno aspettare l’appello ci sia questo tentativo di sfratto con la forza pubblica. Non si è mai vista una cosa del genere. E poi a noi, che abbiamo sempre e regolarmente pagato il canone d’affitto!».
Pellegrini spesso si legge sui giornali che la società di cui lei è Presidente “gestisce” il Caffè Greco. Ma la verità è che Il Caffè Greco, nel suo complesso aziendale costituito da mobili, arredi, quadri e quant’altro presente nel locale, è di proprietà esclusiva dell’Antico Caffè Greco S.r.l. che è da oltre 110 anni locataria delle mura (queste e sole queste di proprietà dell’ Ospedale Israelitico). Tale complesso aziendale per via del vincolo pubblicistico del 1953 è inscindibile dall’immobile in cui si trova. Insomma, se non capisco male il caffè Greco può stare lì e solo lì e non può essere cacciato. Giusto?
«Assolutamente sì. E come se volessero fare lo sfratto a Bulgari, che è qui di fronte, ma chiedessero a Bulgari di lasciare dentro al locale i gioielli. Tutte le attività del centro sono di proprietà dei conduttori – altro che gestore! - delle attività. E’ una proprietà del know-how, nel nostro caso i marchi i quadri, le opere d’arte. Ci sono, insomma, due diritti di proprietà che dovrebbero essere parimenti tutelati. Non si capisce perché la sentenza del tribunale tenga conto solo delle proprietà immobiliari. Come se il capannone della Ferrari fosse più importante del marchio e della storia Ferrari. L’Ospedale israelitico ha avuto in lascito il contenitore, le mura. Il contenuto, il Caffè Greco appunto, che sta lì un secolo e mezzo prima, con loro non c’entra nulla. Punto. Tanto che il ministero anni fa ha ribadito espressamente l’immodificabilità materiale e funzionale del Caffè Greco senza autorizzazione. Autorizzazione che l’Israelitico ha chiesto nel passato e che gli è stata negata».
Eppure i giudici che si sono espressi per lo sfratto dovrebbero essere al corrente che sul Caffè Greco sussistono dei vincoli e la tutela dei Beni culturali. Che si risponde?
«Che le devo dire. Si vede che erano distratti»
Voi in questi anni avete anche dato la vostra disponibilità a rivedere in alto il prezzo dell’affitto. Qual è stata la risposta della proprietà?
«Abbiamo fatto proposte scritte più volte all’Israelitico. Abbiamo incontro sia il presidente dell’Ospedale Bruno Sed, sia il direttore generale Naccarato spiegando che eravamo e siamo disponibili anche a fare un canone indicizzato sulla base dell’andamento dell’attività. L’azienda è in forte crescita abbiamo un bilancio 2018 che fa faville, con i fatturati che ovviamente può fare questa attività merceologica che è pur sempre una caffetteria. Siamo arrivati a offrire anche due volte il canone che paghiamo oggi. Ma abbiamo trovato davanti un muro di gomma e la richiesta di 120 mila euro al mese, che fa un milione e 440mila euro l’anno per poco meno di 300 metri quadrati e con una sola vetrina su strada. Una richiesta non ragionevole fatta, debbo immaginare, solo per farci la guerra. Sed in una riunione ha detto che delle nostre offerte non gli importava perché comunque non saremmo mai arrivati a pagare quello che volevano loro. Una arroganza che non mi sarei mai immaginata».
È ottimista ingegnere? Pensa che uscirete bene da questa brutta vicenda?
«Penso di sì, anzi ne sono convinto. E glielo dico ricorrendo alla storia. Nel 1806 il prezzo del caffè aumentò notevolmente a causa del blocco continentale imposto da Napoleone. Ebbene, mentre le altre caffetteria di Roma per mantenere costante il prezzo della bevanda mischiarono nella polvere cicoria e altri succedanei , l’allora proprietario del Caffè Greco, per reagire al primo caso di austerity della storia si inventò la tazzina piccola. Dimezzò la tazzina e aumentò il prezzo, ma quello che offriva ai suoi clienti era caffè vero. E la clientela anziché diminuire aumentò. Questo per dirle che anche nei momenti difficili con la volontà e il buon senso si può vincere. E a noi non mancano né l’una né l’altro».
di Giampiero Cazzato
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