Giovanni Carnovale, revisore dei conti e responsabile dei rapporti con le autorità nel consiglio dell’Ordine dei Medici di Roma, nonché coordinatore di una commissione della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici e presidente dell’omonima fondazione, che raccoglie oltre 400 camici bianchi nella capitale, in un’intervista a Spraynews, presenta la proposta sua e di alcuni colleghi per cambiare la sanità. Attraverso un gruppo di lavoro, che comprende oltre trenta tra deputati e senatori, si vuole cambiare quel meccanismo che permette ai governatori di scegliere, in modo discrezionale, i manager delle aziende sanitarie. Il camice bianco rivela, poi, l’istituzione di una commissione per aiutare finanziariamente i giovani medici, tramite lo strumento del microcredito, nella fase post Covid.
Tante le proteste in Italia sul green pass. Quale la sua idea?
«Il mio ruolo di medico mi obbliga sotto tutti i punti di vista a dare il massimo valore aggiunto ai vaccini. Non esiste al mondo che si vada contro quello che dichiaratamente viene dimostrato dalla letteratura scientifica. Ogni metodo che può indurre la gente a vaccinarsi è utile, compreso il green pass, ammesso che ci possano essere dubbi sulla tempestività e la validità di questo strumento sotto alcuni aspetti».
Che consiglio si sente di dare al neo eletto sindaco di Roma?
«Ho conosciuto Gualtieri durante la campagna elettorale e mi è sembrato persona di altissimo livello culturale e con le idee chiare, soprattutto rispetto a una rivalutazione cittadina della sanità. Le normative prevedono un ruolo per il Comune. Ha il diritto e il dovere di istituire un tavolo di controllo sul sistema regionale applicato alla capitale. Per cui se c’è un cittadino che si lamenta di come è stato trattato in una Asl, lo può fare rivolgendosi all’amministratore che ha il dovere di vigilare. Sono certo, però, che il nuovo primo cittadino, incontrato alla presenza di monsignor Paglia, saprà rispondere a queste istanze, a differenza di chi lo ha preceduto, a partire dall’aspetto socio-sanitario e in modo particolare sugli anziani. Non basta aprire centri per questi ultimi, ma bisogna fare in modo che i nostri nonni non vengano ghettizzati, con un’assistenza domiciliare integrata e valorizzata».
Fino a oggi cosa non ha funzionato nella capitale?
«Il Comune di Roma ha dimenticato di avere un ruolo di controllo sulla sanità. Allo stesso modo sono state abbandonate le fasce deboli».
Un problema dei giorni nostri è come riconvertire quelle strutture territoriali aperte durante l’emergenza e allo stato a rischio…
«C’è solo un dato positivo sulla pandemia, finalmente è stata rivalorizzato il ruolo del medico e del sanitario. Tanto si sta facendo a livello normativo e tanto si dovrà fare con i soldi che ci aspettiamo. Proprio oggi in federazione nazionale dell’Ordine abbiamo formalizzato una commissione per cercare di aiutare finanziariamente i giovani neolaureati. Lo abbiamo fatto con un protocollo con il microcredito. Questo vuol dire non dimenticare l’esperienza vissuta. I centri che si sono aperti devono restare e anzi devono essere potenziati».
Basta ciò?
«Un discorso importante è quello relativo alla medicina generale. Occorre pensare a veri e propri ambulatori dove il paziente vive l’esperienza sanitaria e ne esce con una diagnosi, scordandosi delle vecchie diagnosi telefoniche. Dall’altra parte ritengo che occorra ritornare a una sanità centralizzata. Alla Regioni deve restare il controllo, ma non tutta la parte decisionale».
In questo modo si allontanerebbe anche la politica clientelare dalla sanità…
«E’ indispensabile interrompere quei cortocircuiti micidiali che hanno prodotto quanto leggiamo sulle cronache dei giornali, il commissariamento in Calabria, ospedali chiusi e via dicendo. Lo si può fare eliminando il più possibile la politica dalla gestione, regolamentando al meglio l’accesso dei nuovi direttori generali. Se oggi vengono scelti dai governatori sulla base della discrezionalità prevista dal titolo V della Costituzione e questo nessuno lo può togliere, si possono invece modificare le norme di selezione. Oggi i manager vengono scelti sulla base di un albo in cui si accede per titoli ma non segue una graduatoria. Un presidente della Regione può quindi preferire chi desidera. Vogliamo, invece, una graduatoria sul modello universitario, in modo che non può essere preferito il 20esimo se c’è uno al quinto posto che ha gli stessi titoli. Molti presidenti delle Regioni si assumono competenze che non hanno. Utilizzeremo, pertanto, tutte le armi che il legislatore ci mette a disposizione per cambiare le cose».
Quanto ciò influisce sul sistema sanitario?
«C’è gente che proviene dal teatro, dal cinema, la quale ha la fortuna di essere il cugino di un governatore per trovarsi a guidare un’Asl. La fondazione che presiedo non vuole che alla guida dei nostri ospedali ci siano attori o showman, seguendo il modello americano, dove a scegliere non è la politica, ma la direzione sanitaria quello che è il manager più competente. Altro aspetto, poi, da rivedere è che quelle che noi chiamiamo aziende sanitarie, cioè hanno la ragione sociale di una vera e propria società di capitali, muovendo milioni di euro, non possono non avere un consiglio di amministrazione che controlla il direttore generale, in cui si accede per titoli. Non possono essere gestite unicamente da una sola persona, che tra l’altro può fare ciò che vuole. Nel privato e nelle vere aziende non funziona così. Se il vecchio Arcuri avesse avuto un consiglio di amministrazione a cui rendere notizia delle proprie decisioni, non sarebbe accaduto quanto leggiamo sulle cronache».
I partiti come hanno risposto a tale proposta?
«Oltre trenta parlamentari hanno sposato questa idea mia e di alcuni colleghi. Stiamo, pertanto, lavorando a una proposta di legge che possa diventare governativa o emendamento. A dir la verità, ho trovato terreno fertile in tutti gli schieramenti, sia a destra che a sinistra, soprattutto tra i parlamentari più giovani e meno invece tra chi si trova alla terza o alla quarta legislatura».
Altra questione è quella relativa al personale. E’ favorevole o contrario al numero chiuso per l’accesso alla facoltà di medicina?
«Sono assolutamente contrario, pur avendo avuto esperienze universitarie e di docenza. E’ una forma di coercizione, di controllo che può andar bene per i paesi anglosassoni dove c’è l’accesso immediato al lavoro e uno studio a priori dei fenomeni. In Italia, al contrario, si è voluto creare il numero chiuso per sembrare di essere in linea con gli altri, ma senza uno studio rigoroso e capillare. Non a caso oggi siamo senza medici di famiglia».
Anche coloro che sono stati assunti durante l’emergenza ritiene possano dormire sogni tranquilli?
«Tantissimi medici di base, in tutta Italia, andranno in pensione. Non ci sarà, quindi, alcun esubero. Anzi è tutto il contrario, c’è bisogno di medici e la pandemia lo ha dimostrato. Molti soldi sono arrivati e tanti ragazzi sono stati assunti».
Di Edoardo Sirignano
Comments