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Caso Manganaro/Hjorth. Maria Brucale: "Chi porta la divisa deve onorare un'idea alta di Giustizia".

Aggiornamento: 11 feb 2022

Intervista esclusiva di Umberto Baccolo (SprayNews) a Maria Brucale, avvocato, membro del Consiglio Direttivo di Nessuno tocchi Caino e dei Giuristi delle Libertà di Associazione Luca Coscioni, responsabile della Commissione del Tribunale di Sorveglianza della Camera Penale di Roma


Ieri il Comando Generale dei Carabinieri ha rilasciato un comunicato nel quale annuncia procedimenti disciplinari rigorosi verso i militari coinvolti in una chat depositata nel processo a carico del maresciallo capo Fabio Manganaro per il bendaggio di Gabriele Natale Hjorth, uno dei due ragazzi americani condannati in primo grado per l'omicidio Cerciello. Come ero stato molto turbato da quella situazione, ancora una volta ho trovato inquietante leggere militari scrivere che bisognava sciogliere i ragazzi nell'acido, o fargli fare la fine di Stefano Cucchi. Mi ha fatto male, perché ammiro molto tanti Carabinieri dei quali ho conosciuto l'umanità e professionalità, e non penso che quei comportamenti siano degni dell'Arma. Posso capire la rabbia e il dolore per un collega e amico ucciso, ma penso che in uno Stato di Diritto soprattutto chi porta la divisa dovrebbe saper trattenere il desiderio di vendetta e controllarsi, evitando situazioni simili che tra l'altro gettano discredito sulle Istituzioni. Tu, che hai anche insegnato nelle scuole della Polizia Penitenziaria e da anni ti batti per il rispetto della Costituzione e dei diritti sia dei detenuti che dei detenenti, cosa ne pensi?


Una riflessione su questo tema è fondamentale. Le forze dell'ordine dovrebbero essere e apparire come la punta di diamante dello Stato di Diritto nella tutela delle garanzie costituzionali. Per questo i sentimenti, gli stessi che tutti proviamo, di rabbia, di livore, di rancore, perfino di vendetta, non devono mai influenzarne le esternazioni perché non possono interferire con lo Stato di Diritto. Per lo stesso motivo, secondo me, le persone che sono state offese da reati gravi non dovrebbero mai sedersi sugli scranni parlamentari, perché il diritto deve essere completamente avulso dalle spinte emozionali e tener conto, certo, delle ragioni delle vittime ma con lo sguardo sempre orientato verso la Costituzione. Episodi come quelli accaduti sono inammissibili e i rappresentanti dell’Arma dovrebbero essere i primi a stigmatizzarli e a condannarli. Non c'è nessuna ragione che possa portare a bendare e ad ammanettare a una sedia un indagato per interrogarlo, per di più un ragazzo straniero, isolato dai suoi affetti e lontano da casa. La pulsione di restituire la violenza subita, di punire un uomo già marchiato come colpevole è inaccettabile. Le forze dell'ordine si adeguino completamente allo Stato di Diritto seguendone i dettami e tenendo fuori dalle loro azioni le spinte emotive o il pregiudizio dell’individuare una marcata differenziazione tra buoni e cattivi. Solo così potranno adempiere al loro mandato.


Questo però, almeno a vedere dal ritratto che ne esce dai social, penso sia un problema diffuso nella nostra società di oggi, una grande rabbia che porta le persone a chiedere pena di morte, tortura, vendetta, buttare via le chiavi, al posto di vera giustizia in cui la pena è anche riabilitazione.


Io credo e temo che i social esasperino le peggiori spinte emotive di tutti noi, perché nascondendosi dietro le tastiere e a volte i nickname si spersonalizza la comunicazione e i sentimenti di odio vengono espressi con più facilità e senza controllo. Le animosità, le frustrazioni andrebbero sempre contenute ma se quando vengono da un cittadino comune sono guardate con disagio, quando vengono da esponenti delle forze dell'ordine, nell'ambito di pagine a volte anche ufficiali, dovrebbero essere segnalate e sanzionate dai vertici, e occorrerebbe divulgare con chiarezza il messaggio che la violenza, anche verbale, l’odio sociale, la discriminazione, non si addicono a chi rappresenta lo Stato. Deve essere chiaro a tutti che essere parte delle forze dell'ordine è qualcosa che onora: chi ha la divisa deve sentire il bisogno di servire lo Stato e per farlo deve essere completamente coerente nell’agire, soprattutto pubblico, a un’idea alta di Giustizia e ai dettami della Costituzione.


Di recente ci sono stati casi molto mediatici legati a violenze o abusi perpetuate da mele marce nelle forze dell'ordine, soprattutto verso detenuti: oltre a questo penso alla polizia penitenziaria a S. Maria Capua Vetere. Secondo te questa esposizione cambierà le cose, quindi non avremo più un "Caso Cucchi", o di questi tempi dopo un momentaneo scandalo tutto si dimentica velocemente?


Il timore è sempre che si dimentichi velocemente anche perché quello che c'è da combattere con grande forza è uno spirito di corpo che si traduce nella copertura e nella protezione dei compagni ad ogni costo. Deve passare con forza il messaggio che onorare il corpo vuol dire condannare questo tipo di comportamenti e atteggiamenti violenti. Naturalmente le vicende di cui parliamo non sono le une uguali alle altre: ciascuna ha la sua peculiarità, ma tutte sono rappresentative della presenza della violenza in ambiti nei quali la violenza non ci può proprio essere, soprattutto se pensiamo alle carceri, dove lo Stato ha il compito di protezione delle persone che sono recluse e che, al di là dei reati commessi, sono soggetti vulnerabili affidati alla sua custodia. I processi in corso hanno sicuramente il merito di puntare una luce su vicende troppo spesso rimaste in ombra; le immagini di S. Maria Capua Vetere hanno scoperchiato il vaso di Pandora e ci hanno costretti a vedere con i nostri occhi una ferocia espressa nei confronti di persone inermi, quando ogni rivolta era cessata e non c’era nulla da contenere. Se un membro della polizia si trova davanti a una situazione di violenza ha certamente l'onere di contenerla, di evitare che sia portata a conseguenze irreparabili, esercitando a volte in casi estremi, violenza se è resa necessaria da situazioni di pericolo, ma sempre nei limiti del contenimento, mai come espressione di una punizione fine a sé stessa come nelle immagini abbiamo visto. Qui bisognerebbe davvero aprire una porta all'esigenza che da tempo si manifesta di mettere dei codici identificativi che consentano l'individuazione immediata delle persone che si disallineano dalla condotta doverosa per un agente. Sono ben conscia che la situazione è drammatica dentro alle carceri anche per le forze di polizia penitenziaria, perché vivono in condizioni assurde, sono sotto numero e tenute a gestire una situazione ingestibile, che comprende ogni tipo di umanità disperata, persone con problemi di salute mentale, senza assistenza adeguata. in sovrannumero, una situazione sulla quale veramente bisognerebbe intervenire con estrema urgenza. Pensando a Pannella e alla sua idea di comunità penitenziaria bisognerebbe trovare una linea per ragionare sul benessere di tutti, perché anche la popolazione detenuta quando è contenuta nei numeri e curata nelle esigenze quotidiane ha spinte emotive meno dirompenti. Allo stesso tempo se la polizia penitenziaria avesse degli stipendi più gratificanti, se fosse numericamente adeguata, se fosse tenuta a svolgere solo le funzioni proprie del ruolo e non tutte, dall'educatore al sanitario al confessore come capita, non avrebbe un certo tipo di reazioni. Sarebbe forse possibile calmierare un conflitto inevitabile. Insomma si deve investire sul carcere non per nuove carceri ma per contenere le situazioni di sofferenza che creano inevitabilmente pulsioni che possono esplodere con ferocia. E si deve anche proiettare l'azione amministrativa verso la più completa trasparenza: bisogna conoscere ciò che succede nelle carceri.


Ritornando al caso dei due americani, che riguardava invece l'Arma, io credo che pure per i Carabinieri ci sia un problema simile. Hanno stipendi bassi, turni massacranti, condizioni pensionistiche e lavorative drammatiche, quindi questo può portare a volte alcuni di loro a una tale frustrazione da degenerare nella violenza, o altri al suicidio, ricordando infatti che tra polizia penitenziaria e Carabinieri i numeri dei suicidi sono elevati, come tra i detenuti. Se si migliorassero le condizioni lavorative ed economiche dell'Arma, come ad esempio chiede il SIM CC di cui ho seguito degli incontri, probabilmente sarebbe più facile isolare le mele marce ed evitare certi episodi.


Ne sono completamente convinta. Non si può pensare che un lavoro che determina una pressione emotiva così forte, stress e tensione, possa essere vissuto nelle condizioni che hai descritto e conosciamo mantenendo sempre un perfetto equilibrio. Per quel che riguarda la polizia penitenziaria le carceri sono fatiscenti, i detenuti stanno malissimo e la gestione del loro malessere è affidata a un pugno di uomini che lavorano in condizioni pessime: e accade che scoppino i disagi scaturiti da una umana incapacità di sopportazione e si esprimano in comportamnenti indebiti e di abuso. I dati dei suicidi sono particolarmente inquietanti: sia quelli dei detenuti sia quelli degli agenti. La maggior parte dei detenuti sucidi ad esempio sono giovani stranieri con pene anche brevi, ma che, come da anni evidenziamo con il Partito Radicale e Nessuno tocchi Caino, soffrono dell'assenza di mediatori culturali in carcere: non parlano né l'italiano né l'inglese, e si trovano reclusi completamente in assenza di informazioni riguardo alla loro sorte, ai loro diritti, alle loro possibilità di difesa o tutela. Quindi in questi contesti di solitudine così devastante, anche se la libertà magari è prossima, si può instillare in loro una disperazione che porta ad uccidersi. Ieri a Palermo si è suicidata una persona già segnalata dai suoi difensori per un disagio psichico molto forte, e in carcere il disagio psichico non trova alcun aiuto. Allo stesso modo, gli agenti devono lavorare in contesti drammatici con pressioni e tensioni enormi, e si sentono spesso anche loro in una condizione di solitudine assoluta, soprattutto rispetto alle Istituzioni che dovrebbero tutelarli ma non riescono a farlo davvero. I suicidi e le esplosioni di violenza sembrano, allora, avere un'unica origine, l’inadeguatezza dello Stato nel tutelare tutti i membri della sua comunità, siano esponenti delle forze dell'ordine o detenuti.


Di Umberto Baccolo.

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